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Babel

Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film

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La recensione su Babel

di FilmTv Rivista
6 stelle

Nel deserto del Marocco un fucile passa di mano: lo acquista un pastore, un brav'uomo, che lo consegna ai suoi figli, due ragazzini, per spaventare gli sciacalli che insidiano il gregge. I ragazzi giocano a chi è più bravo, sparano alle rocce, alle gomme delle rarissime auto che si affacciano giù, dalla curva della strada in lontananza. Finché, tragicamente e inaspettatamente, un colpo va a segno, un pullman si blocca sul ciglio della strada. È stata colpita una donna, una turista americana in viaggio con il marito nel tentativo, scopriremo, di risolvere una crisi coniugale. Comincia così, all'insegna del caso, Babel, il nuovo film di Alejandro González Iñarritu, scritto insieme a Guillermo Arriaga e girato, per circa un anno, in Marocco, California, Messico e Giappone. E prosegue ricostruendo i tasselli che a questo "casuale" incidente hanno portato e narrando i suoi effetti sulle vite dei suoi protagonisti. Il racconto va e viene, nel tempo e nello spazio, attento ai fusi orari, alle luci, ai corpi, ai suoni di quattro continenti tanto diversi. Al silenzio e alle prospettive a perdita d'occhio del deserto si contrappongono i riflessi metallici e le architetture aerodinamiche di Tokyo, agli interni ordinati di un ricco interno californiano fa eco il sanguigno caos fisico di una festa di nozze messicana. In ogni vita narrata si intrecciano gli sguardi e le esitazioni di incomprensioni antiche, non solo la cacofonia biblica che portò all'incomprensione le razze della terra, ma soprattutto i debiti di amore e rispetto e di reciproco abbandono che tutti quotidianamente paghiamo: una coppia inaridita dalle incomprensioni, un padre e una figlia muta chiusi nei rispettivi universi separati, una solare governante messicana che non riesce a infrangere le asettiche barriere culturali dell'America, una famiglia marocchina che affronta il disfacimento dei valori tradizionali. Storie di padri e di figli, ha detto Iñarritu, di esuli e viaggiatori in paesi estranei, primo fra tutti quello dei loro sentimenti e della loro mente. Iñarritu gira bene (a volte persino troppo, ai limiti del consapevole pezzo di bravura) e riesce a farci percepire fisicamente gli universi distanti che descrive, l'anomia giapponese come lo sperdimento marocchino. Anche se, su tutti, spicca l'episodio messicano, il più carnale e disperato, rumore e colore e una totale sincerità.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 44 del 2006

Autore: Emanuela Martini

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