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Marie Antoinette

Regia di Sofia Coppola vedi scheda film

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AlbertoBellini

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La recensione su Marie Antoinette

di AlbertoBellini
10 stelle
 
Think Pink, Dancing Queen.
Se mi dovessero chiedere di citare una manciata di film che, in un modo o nell'altro, al meglio hanno raccontato la generazione dei giovani d'oggi, la mia mente non esiterebbe a pensare a tre opere in particolare: Spring Breakers di Harmony Korine, The Bling Ring e Marie Antoinette. La presenza di quest'ultimo potrebbe lasciare straniati coloro che non lo hanno visionato o che, per una qualsivoglia ragione, si sono persi degli importanti passaggi all'interno di esso. Eppure, al di là del periodo storico nel quale è collocato - completamente indifferente ai fini di quel che si vuol narrare -, reputo Marie Antoinette il più importante manifesto cinematografico, musicale, e artistico nel senso più generico del termine, della gioventù contemporanea e di ogni singola sfacettatura che compone la vita durante il periodo di giovinezza. Ad una prima semplice occhiata, altro non è che la storia - per quanto riletta e/o rivisitata - di Maria Antonietta, arciduchessa d'Austria, offerta in sposa a Luigi XVI, Delfino di Francia, per suggellare l'alleanza tra le due potenze. Tuttavia, basterebbero un paio di minuti per capire che non ci troviamo di fronte all'ennesimo, ordinario biopic, ma ad un'opera firmata dal talento e dalla poetica di Sofia Coppola.
 
 
Si apre con Natural's Not in dei Gang of Four, in quei meravigliosi titoli di testa ove il logo Marie Antoinette ricorda chiaramente il font utilizzato dai Sex Pistols per le copertine dei loro album in studio (il rosa acceso mi ha rimandato all'esordio Never Mind the Bollocks, Here's the Sex Pistols). Una musica (non la sola) assolutamente non appropriata a ciò che vediamo scorrere sullo schermo, ma perfettamente in sintonia con lo spirito di chi muove la macchina da presa e con la protagonista del suddetto racconto: la solare Antoine, figlia dell'imperatrice Maria Teresa, che inizierà il suo percorso venendo spogliata di tutto ciò che rappresentava la sua vita. Nel 1770, la giovane fanciulla fa il suo ingresso a Versailles e sin da subito cominciano i difficili rapporti con l'aristocrazia che la circondano. Maria Antonietta si rifugerà così negli eccessivi svaghi in compagnia delle poche amicizie conquistate fra la corte, come la duchessa di Polignac e la principessa de Lamballe. In secondo piano, il re (interpretato dal bravo Jason Schwartzman), sprovvisto della conoscenza e delle forze necessarie per guidare il paese, è alle prese con la rivoluzione, mentre sembra ostinarsi a rifiutare la compagna destinatagli e l'erede che tutti attendono in apprensione. I due giovani si ritrovano dunque a dover regnare su un paese che conoscono appena; un paese che, in un certo senso, è l'artefice e il complice di quegli eccessi, motivo principale per il quale il film è stato stroncato da buona parte di critica. In realtà, come accadeva ne Il giardino delle vergini suicide e in Lost in Translation - anche se in maniera leggermente diversa -, è proprio l'eccesso (o meglio, la pochezza che ne sta dietro) quel che ha voluto mostrare ed analizzare la regista. Abituati come siamo ad un cinema falso, presuntuoso ed ineducato, ove la figura del benestante ci viene sempre e comunque presentata in modo tale da divenire il punto di riferimento cardine, un qualcosa a cui lo spettatore deve ambire assolutamente, Sofia ci sbatte di fronte una regina priva di una qualsivoglia dote, abbandonata da tutti - compreso il marito -, lasciata a marcire nell'oro degli oltre 300 appartamenti di Versailles. Al di là dei balli in maschera, degli amori adolescienziali, delle scarpe pluri-tinteggiate e delle enormi torte improbabili che ingolosirebbero chiunque, tutto ciò che si respira è tristezza. Marie Antoinette è un film triste, come lo è la sua protagonista, sempre sorridente, ma condannata dalla propria natura a sguazzare in un mare di nulla, e restare così ben lontana da quella che è, seppur dura e punitiva, la vita. La seconda parte del film sembra costituire un barlume di speranza per Maria Antonietta. In seguito alla nascita della figlia, ella abbandona la vita di corte e si ritira nella più modesta residenza del Petit Trianon. Tuttavia, ai cancelli presiede quel popolo che i due regnanti avrebbero dovuto guidare ed accontentare. Il malcontento ha generato odio nei confronti della regina, la quale viene accusata di star portando la Francia alla bancarotta con il suo sperpero di denaro. La genuinità e la spensierata allegria che da sempre la caratterizzavano svaniscono, complice anche una relazione con il conte Hans Axel von Fersen, che viene interrotta dalla partenza di quest'ultimo per il fronte; persino i colori cambiano e gli abiti rosa divengono sempre più grigi. Infine, la famiglia è costretta ad abdicare, rinunciando al potere assoluto che un attimo prima tenevano in pugno, diretti verso un futuro, come la storia ci racconta, tutt'altro che roseo. Un addio, illuminato dalla luce del tramonto. Quella che ne fuoriesce è una Maria Antonietta dilaniata dalla sua stessa vistosità e, sopratutto, dalla sua incoscienza. Sofia la denuda, mostrando a tutti quella che di fatto è: una ragazza, ceduta ad un uomo e costretta ad affogare nel lusso. Lo sguardo della regista ci ribadisce continuamente - ma lo possiamo anche intuire - che una quattordicenne, che essa sia una giovane appartenente all'era dei social media nella quale viviamo, o una sovrana del diciottesimo secolo, questa resta una quattordicenne qualunque, con i suoi bisogni, le sue paure e tutti i suoi limiti. Sono molte le similitudini e le metafore sparse qua e là per tutta la durata del film: basti pensare alla magistrale sequenza nella quale Maria Antonietta, insieme alle duchesse di corte, fugge da Versailles per partecipare al tanto desiderato ballo in maschera, come appunto può una ragazza oggi, all'insaputa dei propri genitori, andare a divertirsi con le amiche in discoteca. Nonostante tutto, l'unica "colpa" che le viene affibbiata, è proprio quella di essere un'adolescente, come tutte, ignara di quel che la sua figura dovrebbe svolgere e rappresentare. Se questa, negli anni, è divenuta un'icona del cinema contemporaneo, il merito va anche e sopratutto alla sua interprete: la bellissima Kirsten Dunst, musa della Coppola, che qui si (ri)conferma come una delle più grandi attrici della propria generazione.
Memorabile, ancora una volta, è la colonna sonora, la quale presenta brani prevalentemente pop/rock e pop/punk, come Hong Kong Garden dei Siouxsie and the Banshees, What Ever Happened? dei The Strokes, I Don't Like it Like This dei The Radio Dept. e Plainsong dei The Cure, che - come specificato inizialmente - creano un contrasto malinconicamente perfetto con la leggiadria delle immagini.
 

 
«Se non hanno più pane, che mangino brioche»

 

Insomma, checché se ne dica, Marie Antoinette consacra definitivamente Sofia Coppola nell'olimpo della settima arte. Terzo tassello di una filmografia dedicata alla difficoltà di crescere, di affrontare la vita e se stessi, ai disagi nei quali ognuno di noi, operaio o regnante, può incappare durante il percorso di esistenza, indipendentemente dal luogo o dall'epoca. 
Dio salvi il pop, Dio salvi il cinema... e se avanza del tempo, perché no, anche la regina.
 

 

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