Regia di Randal Kleiser vedi scheda film
Brillantina. Mai titolo fu più azzeccato, per un film che pare avere l’inconsistenza luccicante di quella sostanza, ma pure la sua pervicace capacità di restare incollato dove si attacca. Trentatre anni dopo la sua uscita, che all’epoca fece di Grease il terzo maggior incasso di sempre (dopo Star Wars e Lo squalo), il musical di Randal Kleiser non ha alcun timore di sfidare il tempo. Non può invecchiare, perché?la materia di cui è fatto è pura immaginazione: gli anni 50 sogna(n)ti e imbrillantinati che sono esistiti solo sul grande e piccolo schermo. Un’epoca favolosa, quegli Happy Days che fanno sospirare più delle Summer Nights, colorati e zuccherosi come i frappè alla ciliegia dei fast food. Un immaginario dichiaratamente fasullo e posticcio (in parte, ovviamente, per la provenienza dai palcoscenici dove il musical originale spopolò a partire dal 1974), quindi immune al passare dei decenni, ai cambiamenti delle mode, all’accresciuta malizia delle generazioni a venire. Una messinscena che può esistere solo grazie allo sguardo e alla complicità dello spettatore, disposto a (anzi, desideroso di) credere che le high school anni 50 fossero proprio così, tutte ciuffi ingellati e ragazze pon pon, rock acrobatico e corse d’auto, pomiciate al drive in e balli di fine anno. Già ridistribuito (ma non in Italia) nel 1998, in occasione del ventennale, Grease si ripropone agli spettatori con la stessa fiduciosa sfacciataggine di Danny Zuko/John Travolta, in una versione più che mai autocelebrativa: Sing-A-Long, ovvero cantabile, per il pubblico, insieme ai protagonisti. L’operazione trasforma il film in un oggetto differente eppure, in qualche modo, più compiutamente coerente con se stesso: se infatti è difficile che uno spettatore medio abbia mai fruito Grease senza canticchiarne, anche inavvertitamente, uno dei celeberrimi brani musicali, Grease Sing-A-Long rende lecita e più che facoltativa l’intrusione del pubblico pagante. I sottotitoli aggiunti per l’occasione, ben lungi dall’affacciarsi timidamente allo schermo, esplodono e animano le sequenze con spirito kitsch. E cantando il numero finale nell’impagabile nonsense dei suoi «shooby doowop shebop», sorge un dubbio: il noi di We Go Together, forse, ha sempre indicato Grease e il suo pubblico.
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