Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Il difetto principale dell'"Amico di famiglia" - diciamolo subito - è rappresentato dalla constatazione che non rappresenta un passo avanti di Sorrentino rispetto a "L'uomo in più" e a "Le conseguenze dell'amore". Costituisce, probabilmente, un (riuscito) film di passaggio per uno dei pochi autori del nostro cinema, uno dei rarissimi che, come dice Gianni Canova "sa pensare visivamente". E qui la critica alla società italiana si interseca a uno stile che, anche grazie alla fotografia di Luca Bigazzi, sa unire il surrealismo buñueliano (la suora sepolta nella sabbia fino al collo, lo spaventapasseri nella palude) all'espressionismo di Wiene e Murnau (la traballante figurina che scorrazza per la città di notte). Nel film di Sorrentino vi sono delle forzature, ma anche delle idee forti e delle sequenze che paiono in sordina, ma sono fondamentali, come quella della pesca, quando Gino chiede a Geremia se loro due siano amici. Il messaggio fondamentale del film, comunque, mi sembra essere che se in Italia ci sono tanti usurai, uguali o diversi (molto più spesso diversi) da Geremia, è perché c'è tanta gente che, pur schifandoli in teoria, li cerca. E il vero mostro, si badi, non è Geremia, con la sua ricerca della purezza e della bellezza (la figura della sposina Rosalba, effimera Miss Agro Pontino), con il suo stile di vita quasi miserabile (la sua casa è umida, agli ospiti non offre mai più che acqua corrente, viaggia su una FIAT 127 anni settanta, che definire vintage è un complimento) e con un suo pur perverso codice morale, che prevede, sì, l'intimidazione e la violenza fisica nei confronti dei debitori, ma anche la valutazione "etica" sulle ragioni della richiesta di denaro: così, l'usuraio dà immediatamente i soldi, quasi senza garanzie, alla vecchietta che gli dice di averne bisogno per le cure contro il tumore che la sta divorando, salvo incazzarsi, giustamente, quando scopre che la donna è un'accanita frequentatrice delle sale bingo. Il film deve molto della sua riuscita alla prova del bravo Giacomo Rizzo, un attore di scuola napoletana che il cinema italiano ha utilizzato poco e male: avuta qualche particina in film di autori importanti (il "Decameron" di Pasolini, "Novecento" di Bertolucci, perfino "Che cosa è successo tra mio padre e tua madre?" di Billy Wilder), la sua carriera cinematografica è trascorsa soprattutto tra marmittoni alle grandi manovre e professoresse di scienze naturali. Buona anche la prova di Bentivoglio, il cui personaggio sembra un'evoluzione del trafficone che aveva interpretato più di quindici anni fa in "Americano rosso" di D'Alatri. Resta un unico, piccolo seppure fastidioso, dubbio: perché l'usuraio deve per forza avere un nome ebraico? (6 ottobre 2007)
Nella notte dell'Agro Pontino, tra le architetture da pittura metafisica delle città costruite in epoca fscista, si muove, gobbo e furtivo, un ometto con un braccio ingessato, un cappotto di cammello sulle spalle e un sacchetto della coop in mano. È Geremia De Geremei, un usuraio, colui che, nei momenti di difficoltà economica, diventa indispensabile e fastidioso come un amico di famiglia.
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