Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
Tornare. Tornare al cinema per il solito filmino di Almodovar. Leggero leggero come piace a lui, il Marzullo dello stereotipo sentimentale che porge le risposte senza peraltro aver proferito domanda alcuna sui rapporti uomo donna. Simpatichino e coloratino questo melò/noir/commedia ad ampia rosa per colpire il maggior numero di tordi che svolazzano a lui vicino, ma solo allontanandosi un po’ dalle canne puntate i pallini arrivano freddi, rimbalzano e si spengono a terra senza colpo ferire. L’assunto è semplice, la società matriarcale è più solida e onesta della società patriarcale e tutto il film si scapicolla per far capire per l’ennesima triste volta ciò che Pedrito el Drito stereotipa da sempre avendo trovato terreno fertile per le sue modeste elucubrazioni. Tornano anche i morti nella storia di donne donne, unite e solidali solo come in un film di Almodovar, contro uno stuolo di uomini uomini disegnati a pennarello grossolano come in un film di Almodovar. Tornano i fantasmi dei peccati irrisolti, degli omicidi giustificati a scopo di difesa della propria natura, nel calderone dei segreti ci stanno corna, disgrazie finte per mano vendicative, cancro, molestie di bambine e mentre le donne del paese sotto un vento che fa impazzire le persone lucidano le tombe dei loro mariti morti, in quel paese in cui le donne vivono molto di più dei rappresentanti l’altro sesso, un po’ ci si diverte. C’è una spruzzata di pomodori verdi fritti nel capiente frigo di una bravissima Penelope Cruz, che seppellisce il marito che ci prova con la figlia, sorprendente quasi molto di più della sua bellezza gonfiata in computer grafica che ce la mette tutta per entrare nell’album delle figurine delle donne definite almodovariane con una strizzatina d’occhio alle magnifiche Lollo e Loren. C’è n’è una davvero di donne almodovariane, dolce e struggente Carmen Maura dimessa ma viva nonostante si finga dipartita , attraversa lo schermo e rimane indelebile. Tra frizzi e lazzi, amori sognati o traditi, donne complici e luoghi comuni comunemente serviti in un ripetitivo cliché il film si trascina sulle onde impalpabili dell’inconsistenza di un registino che si sente da sempre autore, bordeggiando verso lo stanco finale dove nella fretta di dover risolvere tutti i misteri, veri o presunti, tutte le relazioni imbastite nello script, il dover trovare una chiusa plausibile in un dignitoso tempo commerciale e inoculare la giusta dose di commozione ci si imbatte in una serie slegata di siparietti ad uso meramente didascalico, artificio narrativo simil teleovela delle 5 del pomeriggio e quello che era una dignitosa pellicolina senza pretese diventa un mattone che mira senza vergogna alle ghiandole lacrimali. Non ha vinto a Cannes, giusto così, sarebbe stato troppo per uno dei registi più sopravvalutati del mondo cinematografico. Più che giustificato invece il premio collettivo per il cast femminile, composto da attrici di grande intensità espressiva che con la loro prova nobilitano un film francamente appena sufficiente, ma appena appena.
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