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La casa del diavolo

Regia di Rob Zombie vedi scheda film

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La recensione su La casa del diavolo

di ROTOTOM
8 stelle

In realtà The Devil’s Rejects, i Reietti del diavolo omaggiati da un’altra chicca distributiva italiana nel perseguire pedissequamente le brutte abitudini del considerare gli spettatori degli idioti. Non si sa mai, visto che il primo si chiamava La casa dei 1000 corpi, che la gente non capisca che si tratta del seguito? Allora rimettiamoci La casa, và. E poi reietti suona così negativo….No lo sappiamo che si tratta del seguito, sappiamo chi è Rob Zombie e quello che fa e il fatto che reietti sia negativo lo si evince comunque dal tema trattato. Un titolo non tiene lontani da un film così, sono cose che funzionano nei blockbuster americani non nei film indipendenti a low budget. Un film per famiglie lo definirei, poiché la famiglia la fa da padrona in questo come nel primo bellissimo episodio più visionario e psichedelico ma non del tutto convinto del sentiero narrativo da perseguire. Questo invece è più maturo, regia di rara maestria per un prodotto di genere, immagini sporche, camera in spalla Rob Zombie ci porta direttamente dentro il male dell’america che ha nel Texas il fuoco dell’obiettivo, il concentrato estremo delle caratteristiche che hanno reso famosa l’iconografia della morte del Sogno Americano. La strada, gli orizzonti a perdita d’occhio, il caldo che rende la pelle lucida, il sudore che si impasta alla polvere e al sangue e nutre quella terra di odio e rifiuto di quelle regole, di quel benessere che da li, come nel migliore dei road movie è solo transitato. La violenza figlia dell’ignoranza, l’abbruttimento generato dalla noia o dal razzismo o semplicemente per vedere che effetto fa. Rob Zombie dimostra di conoscere bene quel pezzo di terra arso e desideroso di nutrimento, ci porta tra le vittime a saggiare il gusto dolce e ripugnante della grottesca e stupida voglia di male, ne conosce il machismo rozzo degli uomini, le baracche che vibrano al sole come miraggi, i bar come saloon delle terre di frontiera, le donne come merce. Chi ha letto Joe Lansdale ne ritroverà il lemmi narrativi, il malessere mefitico della carne morta, l’ineluttabilità della morte. Azzardo un paragone con Faulkner, portato all’eccesso psicotico da Lansdale e il suo sud splatterpunk, nel descrivere una parte di mondo che si ammala marcisce e muore sotto un sole spietato. I paragoni e le citazioni di film anni ‘70 si sprecano, il rimando a Texas chainsow massacre di Tobe Hooper è limpido e altrettanto duro, la famiglia come nucleo tumorato da Dio di una società malata terminale qui è trattato divinamente. La famiglia Firefly è la nemesi della famiglia del Mulino Bianco con la quale condivide solo l’unione morbosa dei suoi componenti o meglio ancora la sua trasformazione nel momento in cui la Barilla fallisce e tutto sembra non avere più senso, sprofondando nel degrado morale, nel sentimento di schifo verso la normalità. Più che horror è un road movie malato e sporco, una rivisitazione della cultura hippy che rifiuta le convenzioni della società non più guidata dalle immagini distorte dell’Lsd ma piuttosto l’annientamento fisico delle convenzioni, l’azzeramento di tutto ciò che rappresenta l’ipocrità normalità operata da una lucida violenza interiorizzata ed espressa come modo di vita, catalizzatrice della violenza del mondo moderno il cui confine tra ciò che è bene e ciò che è male viene definitivamente divelto e ribaltato nei ruoli man mano che la narrazione procede. La famiglia assassina da predatrice diventa preda dello sceriffo che abbandona la legalità che il suo ruolo richiede per perseguire la strada della vendetta, così se nel primo tempo l’agghiacciante sequestro e sterminio di una indifesa famiglia di musicisti fa legittimare l’odio per Capitan Spaulding (clown assassino dai denti marci) e famigliari, nella seconda parte del film la vendetta che si consuma sui Reietti del Diavolo così come vengono definiti è atroce quanto le loro scorribande omicide per cui ci si sorprende a tenere per loro. Le splendide le scene del regolamento di conti, con abbondante uso del ralenty commentato da un’ irresistibile colonna sonora tutta seventies e la cavalcata finale dei tre assassini superstiti che tentano di forzare il posto di blocco della polizia oltre alla sparatoria iniziale nella casa dei Firefly assediata dalla polizia, ammantano di un’epica western tutta la pellicola, dove i cowboys hanno però smesso di indossare i cappelli bianchi e neri per riconoscere chi sia il buono o il cattivo preferendo mischiarsi in un indefinito limbo di ambigua immoralità che li porta a seguire le proprie pulsioni senza un minimo di rimorso. Un signor film al di là del genere a cui fa riferimento, ottimamente girato e tecnicamente ineccepibile, oltre a prove attoriali di buon livello cosa rara nei film dell’orrore, risultando mai banale o aderente a cliche riconoscibili. Vi è piuttosto la voglia di prendere le distanze da tutta quella marea di horror nippo- telefonico e similare che ha ammorbato le sale negli ultimi tempi sterzando decisamente verso uno road slasher più realistico e attuale.




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