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La casa del diavolo

Regia di Rob Zombie vedi scheda film

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La recensione su La casa del diavolo

di scapigliato
8 stelle

Tutti hanno un'anima nera, e l'America ne ha provincie intere. Sporco, in 16mm, camera a mano, cattivo, sudato, insozzato di sangue e liquido seminale. C'è tanto di tutto questo in "The Delvil's Rejects", horror '70s che non si limita a citare il cinema più cattivo d'America, da Hooper a Peckinpah, ma si concede epiche leoniane andando oltre la citazione. Ad essere sinceri non disturba più di tanto, ma è sicuramente un logorio psicologico non da tutti se confrontato con "Hostel" pubblicizzato come chissà che razza di violentissimo horror fosse. Rob Zombie irrompe nell'onanistica stasi del horror da botteghino con un vero film di carne. Basta con fantasmi vendicativi, sussulti nel buio con presenze ectoplasmatiche dagli occhi a mandorla trite e ritrite. Qui c'è la tanto amata carne, che fin dal pionierismo americano è simbolo di un paese che ha fondato il suo successo economico prima sul commercio di bestiame (stigmatizzato già nella serie di Leatherface) e poi proprio sul cinema. Nel suo film c'è tutta la fisicità che troviamo nei gioielli anni '70 a cui si dovrebbe tornare per forma ed estetica, e non solo per contenuti. L'autore riesce là dove solo pochi oggi riescono a graffiare. Sbatte sotto il sole dell'on the road tutto il marcio dei sepolcri americani imbiancati di ipocrisia e falsità dell'apparire e dell'immagine. Lo fa invertendo i segni dell'epica, non tanto trasformando i cattivi in eroi e i buoni in criminali, ma dando ad entrambi la stessa caratura azzerando così ogni manichea dialettica. Chi i buoni? Chi i cattivi? Anche sul piano visivo concede la stessa ferocia sia alla famiglia Firefly che allo sceriffo Wydell, e questo li accomuna nella lunga rincorsa verso la morte. Se il film in certe parti non brilla per ritmo, anche se svafilla nella sua componente visiva, ha un'apertura e una chiusura che da sole valgono tutte le palpitazioni di cinefili dal cuore puro, capace ancora di emozionarsi grazie al linguaggio delle immagini. La sequenza a fotogrammi in cui Otis uccide la vecchia scesa dall'auto ad aiutare la sorella Baby, falsamente ferita, con "Midnight Riders" di sottofondo (non nella versione di Joe Cocker) è un'inizio antologico. Di uguale impatto la rilettura de "Il Mucchio Selvaggio" presa da Peckinpah, compresi i molti e bellissimi rallenty, che chiude il film. Là dove "Thelma & Louise" si schianta con "Il Mucchio Selvaggio" nasce una nuova frontiera dell'on the road horror che mette in crisi uno dei pochi baluardi di libertà della cultura americana, appunto l'on the road. Operazione già trattata con successo da pellicole come "The Hitcher" e "Duel".

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