Regia di Libero De Rienzo vedi scheda film
Ambizioso, presuntuoso, carnale, rigorosamente low budget, figlio di un immaginario corrosivo, che (si) consuma nell’istante in cui si compie e si mostra: l’opera prima di Libero Di Rienzo assomiglia molto a Libero Di Rienzo, attore nervoso e rapsodico, che lavora poco ma intensamente, Santa Maradona e A/R andata+ritorno con Ponti e Catherine Breillat (À ma soeur), ingenuo e sfrontato, maturo e adolescenziale. Una personalità, e un cinema che sta per nascere, di contrasti e contrapposizioni, di pugni e carezze, di scomparse e di illuminazioni. La trama è un pretesto: una giornata e due vite simbiotiche. E poi motorini che sfrecciano, pusher che scalpitano, canne che srotolano, urla e abbracci, dimensioni parallele che si sdoppiano e si dividono e si rincorrono, in un gioco pericoloso che denuncia le sue nevrosi. Libero di nome e di fatto parrebbe De Rienzo, forse un po’ schiavo del suo anticonformismo, sincero e programmatico insieme. Che sconvolge i detonatori sbloccando la vita. Nel tentativo di esorcizzare le sue trappole, mangiandosela golosamente senza paura d’ingrassare. E allora Iuri (Elio Germano) e Stella (Emanuela Barilozzi) e Bruno (Luca Lionello), e sentimenti veri in un confuso tourbillon d’emozioni. Musi(che)bruciano e zampillano watt, Giardini di Mirò, Godspeed, Torpedo, per un’ideale rave party in cui smisurarsi e smuovere la calcificazione dell’incipiente vecchiezza che coglie chi muore lentamente senza mai resuscitare, senza il lusso di non possedersi mai.
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