Regia di Libero De Rienzo vedi scheda film
L’esordio alla regia di Libero De Rienzo è incisivo, efficace, diretto, senza mezzi termini, senza mezze misure. É uno Tsnunami. É un fiume che s’ingrossa per le pioggie e poi trasborda il suo letto, investe case e strade. É un’alluvione. C’è l’ha con tutti il giovane neo-regista: famiglia, Chiesa e Stato, con le loro istituzioni e le loro autorità. In un’ambientazione “altra” (pensiamo di essere in Italia, ma le targhe non ce lo confermano), già di per sé estraniante nella messa in scena e nella scelta degli ambienti e degli interni, risulta poi ancora più estraniante grazie al linguaggio cinematografico che il regista sceglie per i tre atti in cui ha suddiviso il film. Grammatiche diverse, forse non proprio completamente diverse. La vera distinzione si intuisce con l’ultimo atto, il più politico, il più grottesco, quello di in linea diretta con Bellocchio. Il film ha un montaggio sincopato, una messa in scena caotica e per nulla sterile. Gli attori sono in forma e aderiscono la “malattia” del film ai propri personaggi: instabili, fragili, incazzosi, introversi, spudorati, coraggiosi. Su tutti brilla Elio Germano il cui personaggio è il segno esasperato di tutti i suoi personaggi fin qui interpretati, e interpretati da qui in avanti. Elio incarna alla perfezione il ribelle e l’arrabbiato compulsivo, quello che non le manda a dire, quello che non ci sta, che urla e sbraita sbavando contro autorità e istituzioni, quello che ha le sue fughe, i suoi pensieri, le sue rabbie. Elio è un concentrato di istintività, intuizione e passione animale. Mai visto un attore italiano essere così spudoratamente diretto nella sua interpretazione. Tutti che sussurrano, che calibrano, che si modellano con lo standard televisivo per piacere alla grande massa ignorante, agli stupidotti figli di mamma TV. No, Elio non ci stà e lo dimostra con scelte professionali precise e puntuali che arrivano sul cinema italiano come una spada di Damocle. Dimostra il suo dissenso con personaggi ribelli fino al midollo, che senza l’ausilio delle piazzate o del viso coperto, s’arrabbiano lo stesso e con più efficacia. Nel film in questione, i suoi attacchi allo stato e alla Chiesa, alle divise in generale, è un attacco che, condiviso oppure no, deve far pensare, deve trovare un nostro appoggio. Viviamo in un paese che non è ancora entrato nella modernità, ovvero l’emancipazione dalle autorità. A dirverlo è un cristiano convinto, che però ha la fortuna di farsi domande e di crearsi uno spazio contraddittorio verso le alte sfere ecclesiastiche e alla severità dogmale e rituale del Vaticano. Pur essendo molto credente, anche ai segni e a i riti, e pur essendo molto devoto, molto profondo e spirituale da passare in chiesa e pregare in silenzio, capiso il bisogno del credente di poter dire NO. Una negazione che ci è negata dalle autorità ecclesiastiche, il cui primo impegno sembra essere quello di governare i propri sudditi invece che capirli e riconoscerli nella loro individualità e nelle loro storie personali. L’attore-Germano e il regista-De Rienzo riesco a non risultare banali e impacciati nel loro intento grazie ad un film che tra il profilmico e il filmico sfoggia un’alienazione nelle forme e nei luoghi, un’allucinazione costante della grammatica finale. Un film allucinato e allucinante, dove le vite si frammentano nei frammenti del montaggio sincopato, senza soluzioni di continuità.
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