Regia di Mario Brenta vedi scheda film
Vermisat è il soprannome di un poveraccio che per sopravvivere raccatta vermi nei fossi, da vendere come esche ai pescatori. Fra un arresto e un ricovero, Vermisat conosce la prostituta Maria, l’unica persona con cui riesce a legare.
Con questa pellicola esordisce come regista Mario Brenta, già aiutante di Eriprando Visconti e di Ermanno Olmi; proprio da quest’ultimo pare aver preso maggiormente spunto, imbastendo qui una storia di povera gente ambientata per lo più in scenari rurali, con una morale densa di pietà per il genere umano e con tanto di titolo in dialetto lombardo. C’è davvero parecchio Olmi in Vermisat, scritto da Brenta insieme a Pier Giuseppe Murgia, altro cineasta in erba destinato a passare presto dietro alla macchina da presa; c’è più in generale un’atmosfera distante dal cinema italiano, di quei tempi e non solo: Vermisat è un dramma dalla trama riassumibile in un paio di righe, ma è anche un lavoro di eccezionale intensità che può casomai richiamare l’approccio nordico alla settima arte: forse più freddo, ma anche più diretto al cuore del problema. Cuore del problema che in questo caso è già esplicitato dalla (sgrammaticatissima!) didascalia in apertura, che inquadra il contesto del film nel sottobosco degli emarginati dal boom industriale del nord del Belpaese. Buona la scelta dei protagonisti, ovvero Carlo Cabrini – che aveva debuttato come attore proprio ne I fidanzati di Olmi, nel 1963, per poi praticamente sparire – e la già più nota Maria Monti; indubbiamente il ritmo non è il punto forte dell’opera, così come le musiche di Nicola Piovani risultano sempre un po’ troppo in secondo piano. 6/10.
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