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Vermisàt

Regia di Mario Brenta vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Vermisàt

di alan smithee
10 stelle

Tagrana Luigi, detto Vermisàt, compirebbe quest'anno 100 anni, essendo nato a San Colombano al Lambro il 14 maggio 1924, anche se lo stesso, nel comunicare le proprie generalità, tentenna indeciso tra un 1924 e un 1925, propendendo poi per la prima data.

È un uomo semplice, il Tagrana, legato ai ritmi e alle regole di una terra avara nel concedere, ed esigente nel riprendersi ciò che le è stato tolto.

È un uomo che "figurati se ha fatto l'antitetanica"....e che nemmeno sa che "per queste cose va fatta una denuncia".

Un uomo che da San Zenone al Po cerca di adeguarsi a quel processo di industrializzazione che vide i braccianti e tutti gli uomini legati al lavoro della terra, essere catapultati, loro malgrado, verso la tentacolare industrializzazione metropolitana che, dai '60, divenne un fenomeno di massa foriero di speranze di arricchimento facile con meno fatica. L'esodo segnò negativamente soprattutto la categoria di chi non riusci immediatamente a riciclarsi nelle occupazioni industriali o cittadine, creando situazioni di indigenza unite a frustrazione nel non riuscire ad integrarsi in quella nuova idea di meccanismo sociale innovativo ma anche spiazzante, restandone come estraniati ed esclusi.

In questi eterni disoccupati imperturbabilmente convinti che la terra potesse restituire loro dignità di vita e sostanze per potersi mantenere, o quantomeno sfamare, rientra a pieno titolo il nostro taciturno e riservato raccoglitore di vermi, dal cui libriccino usurato fuoriescono pagine come di mistero ed antica visione dell'ignoto:

"Ora ti insegno il magistero di far rivivere i morti, che è uno dei grandissimi segreti di questo libro.

Bada però che intendiamo per morti non già quelli che sono del tutto estinti, ma quelli che si trovano in uno stato disperato, abbandonati da tutti e privi degli atti della vita e della conoscenza.

A questo morto e in simile disperazione noi rivolgiamo aiuto.

Apri l'occhio dell'intelletto per intendere la verità.

La vera esperienza insegna che il tetro umore è prodotto dalla milza e, per il flusso di porosità, si trasmette fino al cervello,dal quale muovono la fantasia e l'immaginazione, che risentono forte turbamento. Il sonno produce orribili fantasmi, e la veglia concitazioni spaventose.

Accade che qualche infermo impazzisca, parli con se stesso, e venga così acuta disperazione da uccidersi."

La solitudine di Vermisat, in parte alleviata dalla presenza affettuosa della lunatica prostituta Maria (una ottima Maria Monti la cui verve ricorda in sottrazione un po' la compianta Mariangela Melato dei duetti wertmulleriani con Giannini). Vermisàt/Tagrana Luigi è nei guai a causa di una denuncia inerente la specifica situazione familiare di deriva e di abbandono di tetto coniugale che lo oppone ad un nucleo familiare di cui l'uomo non ha più notizie.

E la consorte Amelia non c'è più, dopo la denuncia di maltrattamenti e di abbandono di tetto familiare che l'hanno spinta a lavorare a servizio di una famiglia borghese in centro a Milano.

Il Tagrana verrà a sapere che Amelia è morta e la figlia dei due e finita in un istituto di accoglienza per minori.

Per campare il disgraziato vende il suo sangue, incontra Maria, la donna di strada di cui sopra infagottata nel suo usurato cappotto rosso, e le fa dono di 500 lire e di ciò che resta degli effetti personali della consorte, in cambio di un frugale rapporto sessuale.

Vermisàt familiarizza almeno con lei, reinventandosi come raccoglitore di vermi nelle pozze stagnanti che cingono i campi di una pallida pianura padana che pare la terra di nessuno.

Ma prima i contadini lo cacciano ogni volta che Tagrana trova una pozza utile per raccoglierli, e poi pure il caldo aumenta le difficoltà di cattura dei vermi che, andando in accoppiamento, si rifugiamo più in basso nel sottosuolo.

"Ma tu lo sapevi che anche i vermi fanno l'amore?!?"

L'epilogo del raccoglitore di vermi incapace di adattarsi alla nuova corrente di progresso lo vedrà tornare in una casa di cura per malattie mentali, sbrigativa ma pratica soluzione per risolvere il problema di una minoranza di difficilmente adattabili.

Nel rappresentare l'epopea del re degli esclusi, del principe dei diseredati, Mario Brenta, al suo esordio nel lungometraggio, si rende artefice di un capolavoro unico: in film di una purezza straordinaria, in grado di ergerlo a caposaldo di una sorta di nuovo neorealismo intento a rappresentare le fasi meno note e meno trattate di un boom economico che ha esaltato molti, ma emarginato e ridotto alla follia anche una parte di coloro che non hanno avuto la capacità, la lungimiranza, o semplicemente la scaltrezza di adeguarsi al mutare dei tempi.

Un fenomeno che continua oggigiorno in modo non meno incisivo, addentro ad una società sempre più digitale e veloce che finisce per lasciare sul campo anziani e fragili sempre più frustrati e soli, incapaci di tener testa al vorticoso processo di informatizzazione e automatismo dei pagamenti e dei rapporti burocratici che intercorrono tra cittadini e organi statali e finanziari di ogni comparto.

L'epopea del filosofo barbone descritta da Brenta crea momenti di autentica poesia soprattutto quando dal raccoglimento dell'infelice che si aggrappa alle radici di una propria cultura popolare a stento trascritta in libri intenti a sbriciolarsi, escono odi ispirate e potenti da cui si profilano collegamenti misteriosi che uniscono il mondo dei vivi a quello dei trapassati.

La saggezza e l'intimità che governa comportamenti e gesta degli umili, scambiati troppo facilmente per derelitti o malati mentali, diviene quasi sempre qualcosa di assai arduo da sondare e descrivere.

Mario Brenta tuttavia, coadiuvato in sede di scrittura da Pier Giuseppe Murgia, co-sceneggiatore, riesce a cogliere gli aspetti più concreti ed insieme poetici, addirittura emozionanti di un fenomeno in sé triste ed odioso come è l'emarginazione.

E ciò anche quando la posta in gioco prevede, al centro del contesto narrativo, l'esercizio di una mansione stravagante ed inusuale, a prima vista e molto sommariamente ben poco pittoresca ed affascinante, come si rivela, di primo acchito, quella del raccoglitore di vermi.

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