Regia di Adrien Maben vedi scheda film
Il live a Pompei, sotto certi aspetti, è uno dei picchi toccati dai Pink Floyd. Innanzitutto per la scenografia, poi per la perfomance Live del gruppo che, per molti, raggiungerà nuovamente il picco nel 1994 con il Live Pulse (senza Roger Waters e con una scaletta completamente diversa).
Guardando alla storia della band, il passaggio a Pompei segna una tappa fondamentale: è l'ultimo dell'epoca e della musica legata ancora a Syd Barret prima della definitiva svolta del 1973 con The Dark side of the Moon, il più grande successo commerciale e, almeno per chi scrive, artistico della band.
A Pompei assistiamo alla definitiva commistione tra forme d'arte che inevitabilmente si contrastano tra loro. La musica dei Pink Floyd, psicadelica, frammentata, lunare, sembra stonare con la perfetta geometria del teatro in cui si svolgono le riprese e con l'armonia dell'archittettura di una Pompei ricostruita grazie al computer. Gli schizzi del vulcano e le immagini (alcune reali altre sempre al computer) della lava in tutta la sua forza propulsiva rimbalzano sul gong suonato con violenza da un Waters capellone. L'aridità della natura vulcanica sembra trovare infine pace in una delle più poetiche canzoni dei Pink Floyd: Echoes. Gli echi lontani e spesso incomprensibili di madre natura trovano finalmente serenità grazie alla chitarra di Gilmour e alla tastiera di Wright, mentre i quattri risalgono controvento l'aspra terra, quasi a voler citare Bergman e il suo Settimo Sigillo.
Bello per chi non è un fan accanito del gruppo, sicuramente indimenticabile invece per chi li adora. Da sempre innovatori in tutti i sensi, i Pink Floyd apriranno con quest'opera la via verso un nuovo modo di concepire il rapporto tra film e concerto. Il live a Pompei rimane, a quasi cinquant'anni di distanza, la dimostrazione più accurata di come immagini e musica apparentemente differenti si possano unire in qualcosa di nuovo e straordinario.
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