Regia di Byambasuren Davaa vedi scheda film
Una favola della tradizione mongola racconta che il padre di una bellissima ragazza che si ammalò improvvisamente, venne consigliato da un saggio di uccidere il cane giallo, custode del gregge, perché lo riteneva causa della malattia. In realtà la ragazza si era innamorata di un giovane, e, una volta allontanata la bestia (che poi scomparve nel nulla) potè amarlo. Saggio d’esame della regista mongola Byambasuren Davaa alla Scuola di cinema di Monaco, il film esce sulla scia del passaparola generato dal suo La storia del cammello che piange, girato con Luigi Falorni, rocambolescamente nominato all’Oscar come miglior documentario nel 2005. Come per il precedente, l’elemento peculiare sta nella testimonianza di un contesto esotico e primitivo e che quindi si presta a farsi metafora di una condizione dello spirito. Una famiglia di pastori nomadi vive giornate scandite dai ritmi del lavoro. L’imprevisto - il cagnolino cui la figlia maggiore, Nansa, di sette anni, si affeziona al punto da pregare il padre di tenerlo - è l’unica variazione in un racconto contemplativo, da documentario socioetnografico. Non per tutti: né a livello produttivo (lo ha girato una troupe tedesca letteralmente accampata in un remoto villaggio poco distante dalla tenda dei protagonisti) né spettatoriale: una sentenza distillata («tutti muoiono, ma in realtà non muore nessuno»), insistenza pittorica sulla bellezza di volti e paesaggi della steppa, esilità narrativa ben oltre i limiti dell’essenziale.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta