Regia di Byambasuren Davaa vedi scheda film
Se non fosse per il cane che non è affatto giallo, ma bianco e nero (non per niente, battezzato "Macchia", e se non fosse per il lieto, lietissimo fine (tutto sommato piuttosto imprevedibile per chi non avesse già notato l’inclinazione per l’Happy-End della regista), questo film avrebbe potuto anche definirsi un tantino noioso. Fatte salve alcune sequenze ben riuscite (una su tutte: lo smantellamento meticoloso e rituale della casa-tenda, in particolare la ripresa dall’alto, con il tetto di pelli che si apre), per il resto il film, pur gradevole, al contrario dell’impeccabile “Storia del Cammello che piange”, ha qualche lacuna, a partire proprio dall’utilizzo della colonna sonora (paradossalmente premiata come migliore al Festival di San Sebastian) che intersecala i silenzi a volte in modo didascalico e inopportuno. Nella indomabile speranza poi che le distribuzioni italiani ci usino la grazia di non doppiare almeno questo genere di film, in cui i dialoghi sono radi e non fondamentali e in cui l’idioma originale è così diverso dal nostro, e riservandomi quindi una futura visione debitamente udibile in mongolo, sospendo il mio giudizio tramutandolo in un imparziale “3 stellette”. Senza dubbio meritate, ma poteva senz’altro uscirne una quarta.
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