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I, a Man

Regia di Andy Warhol, Paul Morrissey vedi scheda film

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La recensione su I, a Man

di OGM
8 stelle

 L’arte di Andy Warhol è, apparentemente, un futile gioco di forma; in realtà è un’acuta riflessione sui concetti concreti, che delle persone e delle cose coglie, con fantasia, quei tratti superficiali che ne racchiudono il contenuto simbolico ed espressivo. La sua pittura è la visione sgranata che, sfumati i particolari, mette a fuoco l’idea di fondo, e questa, per quanto radicata nel singolo individuo, ha sempre una qualche pretesa di universalità. Il ritratto di Marilyn Monroe, ripetuto nove volte sulla tela con altrettante gradazioni di luce e di colore, rappresenta le possibili proiezioni di uno stesso essere nei sensi e nella mente di chi guarda: la sostanza estratta dalle varianti e dalle approssimazioni è la vera essenza del soggetto, come una legge fisica è il distillato di molteplici situazioni sperimentali.  Il racconto di  I, a man parte, come il titolo del film,  con una nota individuale, quella di ego, però termina con una categoria generale, quella di uomo, che è il risultato del confronto con molti diversi tipi di donna. Per dipingere il quadro d’insieme è sufficiente  cambiare la tonalità, mutare l’inclinazione del tocco o la direzione delle ombre; per questo gli incontri del protagonista sono fatti di sfioramenti, allusioni, tentativi appena accennati e subito interrotti, che sono come una successione di timidi segnali lanciati a caso nell’ambiente allo scopo di esplorarlo. Nessun gesto è risolutivo, nessuna parola è chiarificatrice, però ogni attimo apre, sulla vita dei personaggi, un minuscolo spiraglio: l’inquadratura di un dettaglio che parla – sia pure per enigmi – per il tutto. I dialoghi frammentari ed incoerenti restituiscono, della realtà, un’immagine pulsante, come un film illuminato da un riflettore intermittente. Ogni istante diventa così un punto fisso, compiuto in sé, come il pixel di una foto digitale: un’isola nella discontinuità, che partecipa in maniera unica e personale al discorso complessivo. La regia di Andy Warhol, sia pur vigile ed indagatrice, si mostra rispettosa di quel margine di ignoto che circonda ogni persona, e che ne definisce in modo inequivocabile il carattere; è infatti nella parzialità, nell’incompletezza, nella relatività di prospettiva che si cela la peculiarità di ognuno di noi.

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