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In fuga per la libertà

Regia di Éva Gárdos vedi scheda film

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La recensione su In fuga per la libertà

di fixer
6 stelle

 

Un film da vedere. Non si tratta di una piatta storia televisiva, priva di profondità, carica di banalità ed essenzialmente superficiale. Qui c’è qualcosa di diverso, di autentico. Magari la regista non riesce ad avere i tempi giusti, magari c’è qualche caduta di tono, ma si respira qualcosa di vero, di “sentito”.

La chiave di questo film è senza dubbio il dolore. C’è un’atmosfera di sofferenza che lo pervade e accanto al dipanarsi di una storia (vera) a lieto fine, questa sofferenza si incunea, innerva e dignifica un intreccio di vite parallele a volte e altre volte convergenti.

Attraverso il dolore, spesso, si avvia un’operazione catartica che aiuta ad affrontare le avversità. Il filo che unisce le tre entità protagoniste (Suzanne(Scarlett Johansson), i suoi genitori e i suoi nonni) è un leit-motiv fondato sull’assenza di chi si ama. Le vicissitudini, peraltro veramente accadute, dei protagonisti ruotano attorno alla figura della piccola Suzanne e, verso la fine del film, di Suzanne ragazza. Tuttavia sarebbe errore grave cercare al di là della sfera dei sentimenti, altri significati, sociali o politici, che peraltro, un indubbio peso lo hanno, pur a livello di sfondo ambientale. La regista, a mio avviso, riesce a coinvolgere lo spettatore nel suo tentativo di narrare la sua drammatica esperienza. Lo fa, facendo leva sul tasto del sentimento, senza mai calcare i toni. Riesce insomma a esprimere e veicolare il profondo dolore che colpisce i protagonisti senza fare ricorso ai cliché strappalacrime. Lo fa con misura, buon senso ed intelligenza.

Anche la fase di ribellione di Suzanne, forse la meno riuscita, che raggiunge il climax nell’episodio del fucile, pur nell’inevitabile montare dei contrasti fra figlia e genitori, sembra suggerire la sostanziale assenza di colpa da parte dei protagonisti. La voglia di indipendenza di Suzanne si mescola con il tema della nostalgia di un’infanzia felice, mentre i genitori sono divisi tra il desiderio di omologarsi nella società americana e il timore di vedere la loro figlia staccarsi dalle tradizioni familiari per identificarsi troppo disinvoltamente con quelle più superficiali e modaiole della sua nuova patria.

A mettere a posto le cose sarà il loro buon senso e il ritorno provvisorio e catartico della giovane Suzanne nella sua terra d’origine. La convinzione, ora raggiunta, di essere oggetto d’amore e la riscoperta di valori umani autentici e non ipocriti o fasulli, l’aiuterà a compiere le scelte di vita, mossa non più dal risentimento, ma dalla consapevolezza di aver trovato un punto di equilibrio fra sé e gli altri.

Senza scavare nell’intimo e senza mettere drammaticamente e teatralmente a nudo la psicologia dei personaggi, la regista riesce a ottenere ugualmente un prodotto dignitoso, puntando soprattutto sulla sincerità.

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