Regia di Gleb Panfilov vedi scheda film
Per un appassionato "sovietologo" é un film irresistibile, anche perché è una vera capsula del tempo molto curata e dettagliata, dell'Unione Sovietica del 1976, e di tutto il "dècor" unico che la contraddistingueva come Paese "alieno" , "visitors", rispetto al resto che già andava "agglomerandosi" nell"omologazione dettata dalle monomarche e dalle multinazionali. A cominciare dalla Volga nera dei quadri intermedi del Partito con autista usata dalla sindaca Elizaveta Uvarova della città di Zlatograd, al suo tailleur grigio austero ma elegante, perfetto con bandierina sovietica sul bavero come d'ordinanza, e ai gagliardetti della DDR e dello Spartak Mockba nell'appartamento, per via del marito allenatore(Gubenko, sempre ottimo nella sua ironia rassegnata).
Superba la ?urikova con i capelli biondi raccolti alla maniera tradizionale ,incarnazione estetica della donna russa che pur non non essendo bellissima, per la sua simpatia e bravura-la prima mai inseguita dal bravissimo Panfilov, ma scaturita dalle situazioni in cui si trova-, ce la rendono oltre che estremamente attraente.
Molti i momenti che non ti aspetteresti di ironia disvelatrice della società sovietica negli anni '70, come la congenita ossessione per lo spionaggio, quando la sindaca che scatta foto e prende misure con il metro ad un ponte di Mosca per la sua ossessione di riuscire a farne fare uno utile nella sua città, viene identificata da un poliziotto che le chiede i documenti. Molto bello il finale della lunga sequenza alla TV ripresa frontalmente e fissa da dietro l'apparecchio, della di lei famiglia, marito, i due figli, e che si conclude con il telegiornale che dà la notizia della morte di Allende e del colpo di Stato in Cile. E come non citarne tra gli almeno tre esempi di ricercatezza tecnica e stilistica, il piano sequenza delle pulizie in casa vestita come domestica, con il coro russo che si alza a sovrastare. Metafora sottile come oggi nemmeno sarebbero capaci di fare nel cinema urlato e violento del femminismo contemporaneo, del rinchiudersi nella piccola sicurezza del particolare femminile dei lavori domestici, frustrata come si sente dal ritorno da Mosca dove è stata al Ministero a chiedere fondi per la sua città. Molto bello anche il finale al Praesidium con lo sguardo in macchina enigmatico ma forse anche tanto consapevole della protagonista, e quel "chiedo la parola" nella metafora ancora dei pavimenti scritto sul biglietto, che si perde in una marea di mani che lo passano verso l"irraggiungibile" Praesidium, il Potere. Vasilij Sciukscin al suo praticamente ultimo film, memorabile nella sua apparizione come commediografo messo in discussione sotto ogni aspetto e anche come "cantore" ormai autoindulgente e celebrativo di sè stesso, dalla protagonista.
John Nada
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