Regia di K. Vestbjerg Andersen, T. Christoffersen, S. Fjeldmark vedi scheda film
Che Terkel non sia propriamente un “film per bambini” lo sostiene anche Elio delle Storie Tese, che nel film è coinvolto come autore della colonna sonora ma anche come voce italiana del personaggio narratore (eccezionale in La canzone di Quong). Pretendere di stabilire con esattezza cosa sia “per bambini”, oggi, è una sfida, come ci ricorda anche il piccolo che armeggia con un videogioco iperviolento in Inside Man di Spike Lee. Non è certo un’osservazione controcorrente né inedita quella che registra il declino del modello classico disneyano perché sempre meno adeguato alla realtà che i bambini del terzo millennio vivono in maniera molto più traumatica e senza filtri dei loro predecessori. Ciò detto, per chi scrive è preferibile, magari consigliando la visione ai maggiori di 14, non fare finta che tutto sia rimasto come ai tempi della serenata di Lilli e il vagabondo. Terkel è un ragazzino con compagni problematici, complessati o violenti, e genitori presenti ma inutili, lontani non solo dal capire ma anche dall’interessarsi alla crudeltà e al cinismo della routine scolastica. I Simpson e South Park hanno sicuramente spianato la strada e fatto da modello: qui lo sguardo è più cupo, non ci sono mezzi termini o cautele, ma l’attrazione per l’horror non impedisce esiti molto ironici; il linguaggio è mimetico, la tecnica accattivante: l’operazione pare non scandalosa ma più che legittima.
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