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Terra in trance

Regia di Glauber Rocha vedi scheda film

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La recensione su Terra in trance

di Peppe Comune
8 stelle

Nella Repubblica dell’Eldorado, il poeta e giornalista Paolo Martins (Jardel Filho) è impegnato a costruire un percorso politico progressista decisamente più vicino alle istanze del popolo. Un tempo era amico di Porfirio Diaz (Paulo Autran), con il quale condivideva gli stessi ideali progressisti. Ma se ne allontana quando questi si avvicina alle idee della destra reazionaria diventandone il leader designato per le prossime elezioni presidenziali. Si avvicina così alla figura di Felipe Vieira (José Lewgoy), sostenendone l’elezione a governatore della provincia di Alecrim. Ma di fronte alle richieste di scelte più rivoluzionarie provenienti dalle classi più povere, il neogovernatore reagisce con la forza. Deluso e disincantato, Paolo Martins vede una speranza di rinnovamento nel l’imprenditore televisivo Julio Fuentes (Paulo Gracindo), ma questi si accoda al capitalismo più rampante e sposa l’idea di colpo di Stato che sta progettando Porfirio Diaz. Gli rimane la poesia, che però sembra non fornire più le parole giuste da offrire al popolo in rivolta, e l'amore di Sara (Glauce Rocha). Oltre a tanta confusione che lo spinge in un pericoloso stato di sospensione emotiva

 

Terra in trance - film: guarda streaming online

"Terra in trance" - Scena

 

“Terra in trance” è un film che conferma la vena visionaria di Glauber Rocha, che come già successe in Barravento e ne “Il Dio nero e il diavolo biondo”, usa l’estasi poetica e il disincanto politico per raccontare pezzi di storia sociale di un paese grande e complesso come il Brasile. E lo fa col piglio militante (di un Godard) di chi è consapevole che i mezzi linguistici offerti dalla macchina cinema possono farsi strumento più ampio di emancipazione. Glauber Rocha lavora sull'immaginario come chi intende sottrarlo al potere consolatorio del mainstream.

Jump-cut a dilaniare lo spazio, uso temerario dell'ellissi narrative, intromissione libera del sonoro, “offese” volontarie delle regole di raccordo, strozzature evidenti della continuità visiva. Glauber Rocha fa entrare la nouvelle-vague in Brasile dalla porta principale, mischiando l’innovazione del linguaggio cinematografico in divenire con l'idea di un nuovo corso politico per il suo paese, l'adesione ad un cinema che vuole andare oltre i canoni consolidati con la sua militanza di stampo filo marxista. 

Per “Terra in trance”, il padre del Cinema Novo adatta, con abile dichiarazione d'intenti, la rivoluzione che percorre la grammatica cinematografica ad una narrazione filmica che auspica una rivoluzione politica che sia veramente tale. Ma se la prima viene praticata perché può bastare la volontà a fare anche di un singolo autore, la seconda è molto più difficile (per non dire impossibile) perché ci devono essere più componenti sociali a doversi sintonizzare nello stesso tempo lungo uno stesso indirizzo politico. 

Il film racconta appunto di questa estrema difficoltà dei gestori del potere a pensare al popolo come la fonte primaria di ogni loro preoccupazione. E lo fa attraverso la figura di Paulo Martins, un poeta e giornalista appassionato la cui parabola esistenziale ci viene offerta come quella di un uomo che crede che la poesia possa essere un potente strumento di emancipazione etica e sociale. Un militante che mentre cerca di usare le parole più adatte per dare ai diseredati gli strumenti intellettuali più giusti con cui rivoltarsi, si confronta continuamente con le persone che cambiano pelle alla velocità del lampo e gli scenari che mutano l’immaginario.  

Sullo sfondo delle difficili condizioni politiche ed economiche del Brasile, Glauber Rocha descrive in chiave allegorica l’approssimarsi inevitabile della dittatura e le aspettative migliori del popolo rimaste ancora una volta inevase. Così come un luogo come l’Eldorado, che nell’immaginario collettivo ha da sempre evocato l'idea di una ricchezza a portata di chiunque volesse impegnarsi per raggiungerla, anche la figura del poeta ha un puro valore simbolico : in quanto essere nutrito di ragione e sentimento che si incontra e si scontra con la realtà dei fatti che non riesce mai a corrispondere alle più belle intenzioni.

Questa realtà dei fatti è alternativamente rappresentata dai tre uomini di potere. Porfirio Diaz è l’ex amico che ha tradito gli ideali giovanili per accodarsi ai più comodi interessi dei più forti. Allearsi al corso capitalista può regalargli il governo dello Stato, e basta questo per fargli abbracciare croci e collezionare cravatte. Vieira, invece, è la nuova fiamma che riaccende speranze di cambiamento a favore dei più deboli. Ma la spinta progressista del suo governo diventa aperta reazione contro le giuste rimostranze del popolo. Fuentes, infine, è l’imprenditore televisivo che da possibile alleato per la diffusione del “verbo nuovo”, si trasforma nell’architrave designato del pensiero unico dominante.  

Paolo Martins è quindi nel mezzo, testimone oculare della distanza che intercorre tra una politica pensata per migliorare le condizioni del popolo e i mezzi che si usano per realizzarla. La sua crisi è ideologica ed esistenziale insieme, il suo disincanto si fa specchio della difficoltà per le “belle parole” di farsi azione concreta. La sua complessità di pensiero migra in una dissociazione da tutto e da tutti : dalle forme di potere che ha sempre combattuto e dal popolo (a suo dire) responsabile di non sapersi idealmente sintonizzare con le parole “della rivoluzione”. 

Sempre a livello simbolico, Paulo Martins incarna la terra, solida e porosa allo stesso tempo, sempre alla mercè della classe dirigente che la sfrutta e mai totalmente al servizio del popolo che la vive. Così come lo stato di trance a cui fa riferimento il titolo del film, che evoca la condizione di sospensione emotiva in cui si trova chi è deve assistere impotente alla realizzazzione dei fatti.

“Politica e Poesia, sono troppe per un uomo solo”, le dice Sara, parole belle ed emblematiche che spiegano molto più di mille parole il rapporto irrisolvibile tra l’essere e il dove essere, tra le pratiche idealizzate e la loro pratica attuazione. 

“Terra in trance” è un film che può risultare verboso, prolisso, fortemente simbolico e gratuitamente didascalico. Ed in effetti lo è perché così vuole essere, per corrispondere, tanto agli strappi che la “nuova onda” cinematografica si è messa a dare ai canoni “affabulatori” della continuità visiva, quando all'urgenza di gridare al mondo la miseria del popolo brasiliano.

D’altronde, è il Cinema Novo di Glauber Rocha. 

 

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