Regia di Samuel Fuller vedi scheda film
Fumo, nebbia, morte…inizia così “il Grande Uno Rosso”, un (povero) Cristo cieco che (non) osserva una messe di cadaveri senza nome in un paesaggio smorto e sfocato. Poi un primo piano sulle gambe fasciate di un fantaccino, la solidità umana che disturba la morte impalpabile, in un orizzonte mancante. Lee Marvin (il sergente Possum) fa così la sua presentazione nell’incipit del film di Fuller, giovane soldato sul suolo francese (siamo nel 1918, alla conclusione della 1^ Guerra Mondiale), in attesa di un “rendez-vous” con un superiore, al quale poi racconta l’inconsapevole genesi del “Grande 1 Rosso”, nato nel sangue e da un suo errore, oltre a farci conoscere la sua visione della guerra e dei nemici: “il nemico non si àssassina, si uccide”. Un eroe classico che con la sua squadra calcherà i più importanti teatri di guerra del secondo conflitto mondiale. Il Regista descrive una realtà bellica scarna e brutale, popolata da uomini ignari della portata delle proprie azioni e tesi, col passare del tempo, a conservare la pelle ed a svolgere con svogliata efficienza il loro sporco lavoro di morte. La regia predilige uno stile quasi documentaristico (a volte un po’ didascalico), senza particolari fronzoli ideologici (se non una ridondante ed epica colonna sonora) ma con un grande occhio per il ritmo e la scansione dell’azione susseguente ai “tempi morti” tra una battaglia e l’altra, caratterizzati da un cameratismo militaresco goliardico e svaccato. La macchina da presa dipinge dei quadri d’insieme suggestivi e nitidi, sfruttando appieno i paesaggi, siano essi desertici o rigogliosi,nel quale immergere le proprie titubanti o decise “pedine” umane, alternate a rapide inquadrature di una fauna indifferente e ignara. Quando decide di emozionarci, invece, Fuller mette in primo piano lo specchio dell’anima, gli occhi, per trasmetterci sentimenti non descrivibili a parole, senza enfasi o orpelli inutili, come nelle suggestive ed emozionanti sequenze nel manicomio belga (folli tra i folli) e nel campo di concentramento in Cecoslovacchia. La sceneggiatura ed i dialoghi, dello stesso Fuller, sono essenziali e scarni come il protagonista principale della pellicola, un roccioso ed arcigno Lee Marvin, perfetto emblema di un soldato ligio al dovere ed agli ordini fino all’eccesso, pronto a sacrificare (o ad uccidere al primo sintomo di vigliaccheria) chiunque non segua alla lettera i suoi ordini. Un perfetto soldato che passa sopra ai suoi inconsapevoli errori con una alzata di spalle ed una battuta greve, fino all’incontro/scontro con la sua nemesi tedesca.
Un grande film, che parrebbe aver molto ispirato, nello stile, il "Bastardi senza Gloria" di Tarantino, dichiarato ammiratore di Fuller.
P.S. la mia recensione si riferisce alla versione rimasterizzata del 2004 e con l’aggiunta di 47 minuti di pellicola, operata dal critico cinematografico Richard Shickel.
Ottima.
Consapevole.
Granitico
Buono, mi ha fatto piacere rivederlo.
Goliardico.
Convincente.
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