Regia di Howard Hawks vedi scheda film
Il vecchio generale Sternwood (Charles Waldron) ingaggia il detective privato Philip Marlowe (Humphrey Bogart) perché indaghi su delle strane forme di ricatto che la figlia minore Carmen (Martha Vikcers) sta subendo per dei debiti di gioco. Marlowe non ci impiega tanto a capire che la questione è molto più complessa da come gli è stata presentata dell’ignaro genitore. Infatti, si ritrova d'un colpo nel pericoloso giro delle bische clandestine e del racket delle sale da gioco che fanno capo a Eddie Mars (John Ridgely), un giro che vede coinvolta anche Vivien (Lauren Bacall), la figlia maggiore del generale, con la quale Marlowe avrà modo di incontrarsi sentimentalmente.
Se è vero, com’è vero, che il genere noir (letterario e cinematografico) deve principalmente preoccuparsi di creare l’atmosfera adatta per la rappresentazione del "milieu criminale", e non già di presentare la soluzione filologica di un fatto delittuoso secondo il lineare rapporto di causa effetto, allora “Il grande sonno” di Howard Hawks (dal romanzo omonimo di Raymond Chandler) ne rappresenta uno dei principali e più lucenti esemplari. Il labirinto del malaffare in cui entra Phlip Marlowe è quanto di più enigmatico possa esserci per una indagine su un caso che si proponga di arrivare a delle riposte certe e ad affibbiare ad ogni pezzo che compone il mosaico della malavita l’unicità di una faccia. Le soluzioni a cui arriva Marlowe sono sfuggenti come delle sagome intraviste nell’ombra, molte risposte non possono che rimanere inevase se ad ogni nuova morte corrisponde sempre un nuovo perché. Anche i moventi non sembrano giustificare la proliferazione di tanto male, se non l’abitudine a commetterlo con sistematica naturalezza una volta che si è entrati in determinati meccanismi. I conti non tornano mai, c’è sempre un auto che non era prevista sul luogo del delitto e c’è sempre qualcuno che pedina qualcun' altro. Mettere a posto tutti i pezzi significherebbe arrivare a capire ciò che del caos metropolitano non può mai essere capito del tutto. La colpa è come una macchia d’olio che si espande ad ogni ricognizione dei fatti e ne “Il grande sonno” nessuno è veramente esente da colpe, ognuno può vantare almeno un morto sulla coscienza e nessuno sembra preoccuparsene più di tanto. Philip Marlowe si muove bene in queste situazioni, per lui che è “cresciuto frequentando cattive compagnie”, è vitale sentirsi circondato dall’odore fetido del malaffare e muoversi tra le illogiche motivazioni di un crimine, trovare negli sguardi obliqui di canaglie incallite o nel fascino conturbante di donne ambigue la sponda ideale per sfoggiare in completa agiatezza tutta la cinica ironia che gli è propria. Lui è dalla parte della legge, ma più che muoversi per trovare indizi probanti in sede giudiziaria, gli interessa giungere alla verità dei fatti seguendo il suo intuito malandato. Marlowe sa benissimo che in quel mondo le colpe si puniscono a colpi di pistola e per lui la comprensione definitiva di un perché da custodire nel proprio curriculum di detective di strada, vale più di una prova da consegnare all’onore di una carriera. Ovviamente, la forza leggendaria del film risiede tutta nel vestiario “da detective”e nell’andamento solitario di Philp Marlowe che hanno fornito fondamentali coordinate al genere e nell’incontro “magnetico” tra Humphrey Bogart e Lauren Bacall (anche Martha Vikcers non scherza, con la sua aria da Lolita “prekubrickiana”) che fortemente si sono impressi nell’immaginario collettivo. Ma è tutto l’insieme a funzionare meravigliosamente, la Los Angeles crepuscolare che fa da sfondo e l’atmosfera di dolente malinconia che aleggia nell’aria, l’inganno che si nasconde dietro le parole non dette e il disincanto che si annida dentro il fumo di sigarette. Fino alla morte, che si aggira sorniona e malefica dietro ogni cambio di prospettiva. Il grande sonno che non riposa mai.
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