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Il grande sonno

Regia di Howard Hawks vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il grande sonno

di yume
10 stelle

Un film labirintico per mettere in scena il labirinto dell’esistenza, quello che Chandler aveva descritto nel ’39 in soli tre mesi, tanto gli era bastato per trasformare in romanzo due racconti precedenti, Killer in the rain e The Curtain.

 

 

Era nato così Philip Marlowe, il detective  ironico e romantico, solitario e cinico quanto basta per sopravvivere e trovare ogni volta una direzione in quel labirinto che l’umanità, nel secolo scorso, creò per darsi un inferno in terra, la metropoli, misura e madre di tutte le città, madre-matrigna che divora i suoi figli con pervicace ferocia, immemore degli illustri natali di polis in cui la civiltà aveva espresso i suoi fasti migliori, “…dal dì che nozze, e tribunali ed are diero alle belve umane esser pietose…”.

 

In questo buio labirinto di ombre che si allargano gigantesche sui muri, strade che s’intrecciano come matasse, automobili  che trasferiscono qua e là corpi che, forse, aprendo lo sportello saranno sforacchiati da pallottole o pestati a sangue in un vicolo, c’è ancora spazio per un sano disincanto, ed è il suo:

“Ho trentatré anni, (nel film ne dichiara 38, un quarantasettenne Bogey di 33 anni non era credibile) - ho fatto l'Università e so ancora parlare un buon inglese quando serve. Ma non ce n'è troppo bisogno nel mio ramo…… Non sono sposato perché non mi piacciono le mogli dei poliziotti. Tutto qui.”

Il buon vecchio milionario generale Sternwood,  che lo ha convocato per un incarico, lo immerge in una specie di sauna, la sua serra piena di orchidee che detesta, gli offre dell’ottimo brandy per godere nel vederlo bere, dato che lui, ormai agli sgoccioli e in carrozzella, non può più consolarsi della vita con nulla che conti, e gli chiede:

“Come lo vuole il suo brandy?”

“Nel bicchiere” risponde Bogey sedendosi.

A questo punto capiamo che non avremo tregua, tutta la sceneggiatura di Faulkner scoppietta di momenti memorabili, Hawks gli sta dietro con la macchina in fibrillazione a costruire le atmosfere cupe e morbose di un mondo malato e confuso, immerso nella “putrida dolcezza della corruzione”, come il profumo delle orchidee del generale, un universo nero dove brillano come stelle bellezze mozzafiato.

Carmen è la prima, Marlowe la incontra in quell’atrio “…alto due piani…- con -… dei portoni d'ingresso abbastanza ampi da lasciar passare un branco di elefanti indiani”.

E’ la figlia svitata, impasticcata e  lolita del generale.

Lo guarda, carina e insinuante, e:

Non è molto alto lei, eh?”.

Beh, io ho fatto del mio meglio…” , fa Bogey col cappello in mano e l’aria di chi ha già capito tutto.

“Voleva sedersi sulle mie ginocchia mentre ero in piedi”, dirà poi al vecchio che gli chiede se l’ha già vista.

Svezzatela, ha l’età ormai”, aveva raccomandato, entrando dal generale, al maggiordomo, figura perfetta per quel posto ( “un tipo sui sessant'anni, alto, magro, con i capelli d'argento. I suoi occhi azzurri guardavano il più lontano possibile” scrive Chandler).

 

L’intrigo parte così e va in crescendo, Marlowe deve occuparsi del ricatto di cui è vittima il generale per colpa di Carmen, ma poi le cose si complicano, entra in scena Vivien, inquietante sorella maggiore e altrettanto dissoluta, è Lauren Bacall, semplicemente stupenda.

Lauren Bacall

Il grande sonno (1946): Lauren Bacall

Marlowe se ne innamora e nel film s’inserisce  il tema erotico che nel libro manca. E’ un valore aggiunto e funziona da fil rouge dal primo fotogramma, le ombre dei due sui titoli di testa che si accendono una sigaretta, fino all’ultima ripresa, con le due battute folgoranti:

lui "Cos'hai che non va?"

lei: "Nulla che tu non possa sistemare".

 

Vivien, a detta del padre, è “viziata, esigente, svelta e senza riguardi, Carmen è la bambina che si diverte a staccare le ali alle mosche, hanno tutti i vizi più ovvi e inoltre qualcuno che si sono inventate loro”.

Intorno alle loro vite opulente e dorate ruota un mondo corrotto e di malaffare, ne vediamo la superficie fatta di lussuose sale da gioco, negozi di antiquariato di facciata per coprire sporchi traffici, eleganti  appartamenti e pied à terre  in quartieri discreti e signorili.

 

Humphrey Bogart, Martha Vickers, Lauren Bacall, John Ridgely

Il grande sonno (1946): Humphrey Bogart, Martha Vickers, Lauren Bacall, John Ridgely

Avvertiamo l’anima putrefatta di questa società e Marlowe ci si immerge fino in fondo.

Da un capo all’altro del film succedono tante di quelle cose, appaiono e scompaiono tanti di quei nomi, facce, spari e morti che forse è vero quello che si racconta, di un telegramma partito dal set diretto a Chandler, per cercare di capirci qualcosa, almeno su chi avesse ucciso l'autista del generale ripescato in acqua (ma pare che neanche Chandler lo sapesse!).

Aneddotica a parte, Hawks mette in scena un mondo da cui i cardini sono  saltati tutti e quel che resta è l’inesauribile ironia di Marlowe, un distacco necessario, una malinconia che a tratti lo invade, come davanti al poveraccio che gli muore avvelenato davanti agli occhi.

Lui, se spara e ammazza, lo fa per necessità, un tempo sarebbe stato un cavaliere, ma oggi “i cavalieri non hanno speranza in questo gioco. Non è gioco per i cavalieri, questo…" gli fa dire Chandler nel romanzo.

Lavora in uno squallido ufficietto, la ricca e splendida Vivien passa a trovarlo:

“Le apparenze non le interessano, eh?”

“Il mio è un lavoro che frutta poco se si è onesti”

“E lei è onesto?”

Lei lo tiene d’occhio, crede di dirigere il gioco ma finirà per innamorarsene.

I loro dialoghi sono da antologia di frammenti di un discorso amoroso:

lei, spiritosa: “Cominciavo a pensare che lavorasse a letto come Marcel Proust “

lui, brusco e tenero:“Chi è?”

lei, ironica:“Un grande scrittore francese”

lui, aprendo la porta dell’ufficio:“Venga nel mio boudoir”.

 

Humphrey Bogart

Il grande sonno (1946): Humphrey Bogart

La fine del film arriva, i nodi si sciolgono, ma resta quel cupo senso di vuoto che Edward Hopper impresse nelle sue tele, nei muti paesaggi della Grande Depressione, Nighthawks, nottambuli in enigmatiche atmosfere noir, uomini in attesa del grande sonno.

 

''Cosa importa dove si giace quando si è morti? In fondo a uno stagno melmoso o in un mausoleo di marmo alla sommità di una collina? Si è morti, si dorme il grande sonno e ci se ne fotte di certe miserie. L'acqua putrida e il petrolio sono come l'aria per noi. Si dorme il grande sonno senza preoccuparsi di essere morti male, di essere caduti nel letame. Quanto a me, ne condividevo una parte pure io, di quel letame, ora." (R.Chandler, da "Il grande sonno" , 1939)

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