Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film
Finalmente ho visto questo western famoso ma che circola poco, e che aspettavo da anni. Tuttavia è stata una parziale delusione. E' un film molto violento, e cinico nel rappresentare i personaggi, che sono quasi tutti molto negativi. Corbucci, anche cosceneggiatore, rappresenta un mondo dove regna l'odio, la vendetta, la corruzione, la morte, e il crimine. La punta negativa è forse il personaggio di Klaus Kinski, che interpreta un cacciatore di taglie sadico, e odioso per lo spettatore soprattutto per quella parlata zuccherosa e fintamente buona. Ma negativi sono tutti, tranne Silenzio. La vecchia che sputa sul cadavere di chi le ha ucciso il figlio è una scena emblematica in questo senso. Il pessimismo che comunica il film e la violenza che lo pervade superano anche quelli del modello di riferimento e padre del western all'italiana, cioè Sergio Leone. Sarebbe a questo proposito interessante contare i morti ammazzati a sangue freddo dei primi venti minuti di film (4, 6?). Non mancano altre scene violente, e persino un dito mozzato.
Di buono il film ha l'ambientazione suggestiva e originale, le belle musiche di Morricone e un'atmosfera rarefatta che può dirsi riuscita. Posso anche dire che in generale la regia sia buona. Insomma, le capacità c'erano: perché dunque rappresentare un mondo infernale fino alla sgradevolezza, senza sfaccettature, ed enfatizzare in tal modo la violenza? Oltre che per rincorrere i gusti del pubblico, ciò può derivare dall'intenzione di rappresentare in chiave più negativa possibile la storia degli Stati Uniti, per evidenti fini politici rivolti al presente. Si possono inoltre ravvisare infiltrazioni politiche nei dialoghi con Tigrero (Kinski). Del resto siamo nel 1968, ed era quasi impossibile girare una pellicola dove la poltica non c'entrasse per niente, e neppure si voleva farlo. In ogni caso, è un film crudo che si riceve come un pugno nello stomaco. Chissà che il sorgere dei western di Bud Spencer e Terence Hill pochi anni dopo non sia stata una reazione verso la deriva violenta e cinica del western serio. A guardarli con attenzione, la coppia spaccatutto avrebbe preso in giro proprio film come questo.
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Beh, non dimentichiamoci che la storia degli Stati Uniti è essenzialmente fondata sulla violenza: i coloni la terra l'hanno "acquistata" dagli indiani, e in cambio li hanno sterminati e confinati nelle riserve. Per non parlare del razzismo, senza dimenticare l'hobby nazionale, ovvero andarsene in giro armati e fare ogni tanto un pò di tiro al bersaglio con bersagli umani. Quindi non c'è da stupirsi se certe pellicole hanno proposto una visione "alternativa" a quella (purtroppo) poco realistica e idealizzata di John Ford (ad es. "Nessuna pietà per Ulzana", "Il mucchio selvaggio").
Che dire, hai ragione su quello che dici della storia degli Stati Uniti e dello sterminio dei pellerossa. Resta il fatto che la ruvidezza e crudezza di questo film è per me un pugno nello stomaco, mentre apprezzo molto di più il discorso di John Ford sul problema dei pellerossa, dai cui film si evince una sincera disapprovazione per il razzismo e per i torti che essi hanno subito. Lui, secondo me, sapeva mostrare il malcostume dei padri fondatori senza infierire sullo spettatore. E, visto che lo nomini, pure Pekinpah mi sembra troppo crudo al riguardo, quasi sadico verso lo spettatore.
Mi ricordo, poi, che da bambino vidi “Soldato blu” e per me fu quasi un trauma, ma sono passati troppi anni per poterlo giudicare oggi.
Una nota a margine: quando guardai questa pellicola di Corbucci intesi il titolo in senso letterale, e per questo mi attirò. Quando poi appresi che Silenzio era un pistolero, rimasi un po' deluso anche per questo.
Grazie del commento.
Il cinema di Sam Peckinpah è indubbiamente violento e crudo, ma non lo definirei sadico, piuttosto invece dolente e (iper)realistico (almeno per quanto riguarda ciò che ho visto, ovvero "Sfida nell'Alta Sierra", "Sierra Charriba", "Il mucchio selvaggio" e "La croce di ferro"). John Ford ha manifestato in alcune occasioni una certa sensibilità per quanto riguarda il trattamento degli indiani ("Il Massacro di Fort Apache"), ma non certo una disapprovazione per l'operato dei coloni e per la conquista del West (ma è comprensibile, dal momento che i tempi non erano ancora maturi). Io ritengo comunque fuori luogo le accuse mosse a Ford di fascismo e razzismo, benché comunque non si possa non notare l'ambiguità ideologica di certe sue pellicole ("Sentieri selvaggi" ad esempio, che però io considero il più grande western di tutti i tempi). Ma sto divagando, e l'argomento è troppo ampio per essere trattato in questa sede.
Quando, anni fa, mi guardavo un film di Ford dopo l'altro, mi stupivo di come il regista sia stato accusato più volte di razzismo, e persino di fascismo. Di “Ombre rosse” si può dire che non contenga annotazioni positive per gli indiani, ma bisogna anche rilevare di come l'assalto di questi ultimi alla diligenza assuma una connotazione quasi metafisica. Essi sono un pericolo indistinto e tumultuoso, che assale i viaggiatori da ogni lato, e si può dire che quasi non posseggono chiare caratteristiche di popolo o di cultura. Sono dei guerrieri assalitori, sempre visti in corsa, e basta.
In numerosi altri film successivi, tuttavia, se non fa l'apologia dei pellerossa, il regista ci comunica l'idea che si sarebbe potuto e dovuto convivere in pace con loro, senza farsi la guerra e sterminarli. Lo stesso “Fort Apache” ha secondo me questo messaggio: la guerra e il massacro sono avvenuti per colpa di pochi seminatori di discordia, che hanno sabotato gli accordi e hanno voluto lo scontro. E John Wayne, davanti a chi vuole ingannare e attaccare gli indiani, s'impunta: “Ho dato la mia parola a Kochiss, e nessuno farà di me un bugiardo!”.
E quanto a “Sentieri selvaggi”, ci sono degli accenti ambigui. Ma sono valutazioni del regista, o sono ombre gettare sul protagonista, che alla fine rimane solo come un cane?
Infine, il tardo “Il grande sentiero” mi sembra, quello sì, un canto alla dignità di un popolo oppresso, che si cimenta in quella che sembra una processione funebre.
Quindi, il pensiero di Ford mi sembra appunto quello di un rimpianto per l'occasione perduta di una convivenza di “bianchi e rossi”. Che amasse il coraggio virile, la dedizione alla patria, le virtù miliari, lo sappiamo, ma secondo me questo non può fare di lui un sostenitore dello sterminio dei pellerossa. Questa la mia visione del grande regista.
Diciamo che in "Ombre Rosse" il pericolo indiano assume una valenza metafisica, come hai detto tu. O meglio, è un archetipo, un espediente narrativo attraverso il quale innescare la tensione della vicenda. Dicono che ne "Il grande sentiero" Ford abbia cercato in qualche modo di "riparare" al trattamento riservato agli indiani nei film western precedenti; ma le critiche poco lusinghiere che il film ha ricevuto mi hanno disincentivato alla visione della pellicola. Io continuo comunque a credere che l'atteggiamento di John Ford nei confronti degli indiani rimanga piuttosto ambiguo; credo che siano stati molto più coerenti e onesti nel trattamento degli indiani registi come Delmer Daves e Richard Brooks (ma non soltanto), i quali hanno realizzato western filo-indiani molto prima della stagione "revisionista" degli anni settanta, e, chiaramente, di "Balla coi lupi".
Hai ragione su Delmer Daves e Richard Brooks, tanto più che il primo crebbe nei pressi di una riserva indiana, che pure frequentava.
u Delmer Daves, molto interessante. Comunque ti comunico che, spinto dalla curiosità che mi ha suscitato il tuo commento, sto vedendo il film "Il grande sentiero", che fino ad ora avevo snobbato per via delle critiche, come ti dicevo. Ti farò sapere appena lo finirò.
Leggerò con interesse il tuo parere.
Grazie @Baliverna. Ho visto il film e ho scritto una recensione, dove ho cercato di esprimere al meglio il mio giudizio. Ti invito a darci un'occhiata e farmi sapere. Ciao!
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