Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film
Altra perla di Sergio Corbucci, maestro mai apprezzato come dovrebbe. Coadiuvato alla sceneggiatura da Vittoriano Petrilli e dai futuri creatori della saga “Nico Giraldi” (il fratello Bruno Corbucci e Mario Amendola), Corbucci mette in scena un soggetto che ruota attorno alla figura del bounty killer, ma in un modo assai diverso dal solito. Si assiste, infatti, alle gesta di un gruppo di “assassini legalizzati” che fanno dell’omicidio la loro fonte di vita, a discapito di “ladri di polli” e altri derelitti condannati dalla scelta di mettere un taglia sulle loro teste. Ne deriva uno script abbastanza in controtendenza che mette in cattiva luce la barbarica pratica della “giustizia privata”, mostrando le estreme conseugenze che potrebbero derivarne. Cupissimo il finale (forse anche un po’ a sorpresa) dove si colpisce in pieno stomaco lo spettatore, facendo guadagnare all’opera un ulteriore punto a favore. Al di là dell’interessante soggetto, la sceneggiatura ha il merito di caratterizzare molto bene i tanti personaggi che si contendono un ruolo di primissimo piano. In particolare sono da segnalare Silenzio - interpretato da un granitico Trintignant che ricorda vagamente il Clint Eastwood di Leone –, Tigrero e lo sceriffo. Il primo è una sorta di bounty killer dei bounty killer che agisce per vendicare la sua famiglia sterminata, appunto, da dei bounty killer. Ha la caratteristica di essere muto, a causa di una ferita alla gola infertagli da bambino, e di uccidere gli avversari dopo averli indotti a estrarre per primi la pistola. Il secondo è uno spietato killer professionista che si atteggia con modi assai guasconi e ironici, amplificati da un doppiaggio a pennello. A interpretarlo troviamo un Klaus Kinski in forma smagliate e assai antipatico (come il suo personaggio, del resto). Il terzo è un uomo tutto di un pezzo, garante della legge e incorruttibile che, da quanto è buffo (molto bravo, al riguardo, Wolff), sembra uscito da un film comico, ma che sa farsi rispettare senza prevaricare i diritti altrui. Completano il film, poi, tutta una serie di personaggi secondari molti dei quali ben tratteggiati tra cui si distinguono una donna di colore e un subdolo banchiere senza scrupoli (interpretato dal buon Pistilli) che qualcuno definirebbe “fascista”.
Quanto di buono detto, però, non costituisce il solo pregio de “Il Grande Silenzio”, anzi. A completare la riuscita del film contribuiscano massicciamente delle scenografie e delle location che definire originali è dir poco. Dall’inizio alla fine, difatti, i personaggi si trovano immersi in nebbie e bufere di neve con cavalli che sfangano in “oceani bianchi”. Ne deriva una messa in scena fascinosa come poche, esaltata dal commento sonoro di Morricone. Magistrale la fotografia (voto: 10) tanto che non sembra minimante di assistere a un’opera del ’68. Si segnala un certo gusto per il gore (dita amputate a colpi di pistola, sangue che sgorga copiosamente dalle ferite) e una mezza autocitazione nel finale con il pistolero con le mani fracassate che tenta si sparare (il riferimento, ovviamente, va a “Django”). Un’ultima considerazione deve essere spesa per la regia di Sergio Corbucci, la quale si rivela decisamente nervosa con largo uso di zoomate, soggettive e primissimi piani di cavalli in movimento o di particolari che il regista vuole evidenziare (tutti aspetti che esaltano un amante di “Spaghetti B-Movies”). Decisamente belle le inquadrature, in primo piano, delle finestre in cui, da un lato, vengono rispecchiate le sagome di coloro che si trovano all’esterno della casa, e, dall’altro, di coloro che si trovano all’interno. Da avere in videoteca. Voto: 8.5-
Benone.
Niente.
Ordiario.
Più che sufficiente.
Bravo tanto da reggere il confronto con Kinski.
Il migliore della comitiva. Interpreta come meglio non si potrebbe il suo personaggio, bisogna però anche dare il merito al doppiatore.
Granitico, non poteva fare di più anche perché il suo personaggio non recita neppure una battuta. Nel complesso, quindi, buono.
Quando si parla di western, il divario tra lui e Leone non è poi tanto ampio. Lo conferma anche con questa opera.
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