Regia di John Ford vedi scheda film
Dopo “Sentieri selvaggi”, un’altra palinodia fordiana sul destino dei nativi americani, che non è più quello di correre ululando dietro alle diligenze, come in “Ombre rosse”, ma, ancora più tristemente per un popolo di guerrieri, di vivere e morire di stenti in un deserto lontano duemila miglia dalla loro terra d’origine. Nel periodo autunnale del western, Ford vuole cambiare punto di vista, ma nell’adottare quello dei pellerossa dimostra di non avere la sensibilità di Delmer Daves (“L’amante indiana”) né quella di un Arthur Penn (“Piccolo grande uomo”). La critica ai conquistatori si fa serrata, mostrando come, nel Governo di Washington, solo qualche mosca bianca si sottraesse all’influenza dei grandi trust ferroviari. Però è come se il regista americano sentisse di non riuscire a spiegarsi abbastanza, oppure che a un film del genere mancasse un po’ di sostanza, tanto da aggiungere un episodio estemporaneo, come quello ambientato a Dodge City, con James Stewart nei panni di Doc Holliday: una sequenza quasi umoristica, ma del tutto gratuita nell’economia complessiva del lungometraggio. “Il grande sentiero”, insomma, è uno spettacolo più che dignitoso, ma non certo all’altezza delle altre opere di Ford.
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