Regia di Philip Gröning vedi scheda film
«Ci sono cose in un silenzio che non mi aspettavo mai». La citazione pop non suoni blasfema: Il grande silenzio di Philip Gröning, sorprendente rivelazione di Orizzonti a Venezia 2005 e premiato dalla giuria del Sundance, è una singolare immersione in una dimensione drasticamente distante per lo spettatore occidentale, sopraffatto da una valanga di impulsi sonori e visivi. Non esattamente un documentario, ma un film particolarissimo, eccezionale fin dalla produzione: nel 1984 il filmmaker tedesco chiede alla direzione della Chatreuse di Grenoble, il più antico convento certosino d’Europa, di poter effettuare delle riprese all’interno. Il consenso arriva, a sorpresa, diciannove anni dopo: Gröning si trasferisce, solo, senza troupe, nel convento per alcuni mesi. Vivendo con i ritmi e le regole dell’ordine: parlare il meno possibile (per le urgenze i confratelli comunicano tramite bigliettini), lavorare, meditare e pregare. Con una videocamera Sony 24P ad alta definizione e un super 8, in tre intervalli tra il 2002 e il 2003 filma centoventi ore di materiale (poi riversato per la sala in 35mm), che al montaggio diventano circa centossessanta minuti. Nessun commento musicale, né voce over: solo suoni ambientali. I canti dei monaci che ringraziano per tutto ciò che è stato creato, la cerimonia di accoglienza per due nuovi fratelli, le conversazioni permesse solo la domenica. Un montaggio ipnotico ad anello delle attività di questi uomini votati a Dio: una scelta dalla definitività così assoluta da poter essere compresa solo nel silenzio più totale e assordante. Tra compiti manuali e esercizi spirituali, ognuno medita, mangia e prega solo nella propria cella. Il silenzio è (l’oro) dei nostri giorni (come testimonia anche l’ultimo, coraggioso lavoro di Alina Marazzi, Per sempre, documentario sulle suore di clausura) e così anche la sete di spiritualità, trasversale alle religioni, e l’anelito ad una ritrovata semplicità: l’austerità di ambienti essenziali di legno e pietra, l’aspetto infantile e candido dei monaci ripresi a giocare sulla neve, i dettagli della loro umile, gloriosa routine di lavoro ricordano il Rossellini di Francesco giullare di Dio. Solo alcune didascalie ripetute – passi da testi sacri che rimandano a povertà e umiltà – interrompono qua e là la contemplazione di quest’oggetto unico e davvero irripetibile (tra le clausole dell’accordo c’è quella per cui nessun altro film potrà essere girato in quei luoghi). Un saggio filosofico sulla densità del tempo, un’esperienza inspiegabile, incomparabile e necessaria.
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