Regia di Richard Donner vedi scheda film
Lo stanco ed imbolsito poliziotto Jack Mosley (Bruce Willis) è incaricato al termine del suo turno giornaliero, di condurre al tribunale un delinquente di quart’ordine, Eddie Bunker (Mos Def). L’incarico, apparentemente di routine, si rivela più arduo del previsto: Bunker si scoprirà essere l’unico testimone capace di incastrare un gruppo di poliziotti corrotti; proprio questi ultimi tentano, dapprima, di convincere Jack a collaborare con loro in un piano per eliminare il testimone, poi, vista la renitenza di Mosley, passano all’attacco cercando di far leva sulle debolezze del detective per incastrarlo.
Il film, di base, non è originalissimo: il poliziotto buono ed alcolista, contro uno (o più, come nella fattispecie) poliziotti corrotti, la fuga metropolitana per raggiungere la metà (nella fattispecie l’aula del Grand Jury), ed altri luoghi comuni tipici di questo genere cinematografico (l’idea che Mosley si fa venire per uscire dall’autobus sequestrato – vedi “Inside man” – o, peggio ancora, il modo con cui incastrerà il capo della omicidi).
Eppure, nel complesso, il film risulta gradevole, grazie all’interpretazione del protagonista, Willis, e del suo antagonista, un David Morse calato a perfezione nel ruolo di capo della omicidi (e straordinariamente talentuoso anche nel(l’insolito) ruolo di cattivo). Ma soprattutto perché la sceneggiatura, a metà film, deraglia dal binario dei cliché, rendendosi un tantinello più originale e, dunque, credibile. Il colpo di scena finale c’è, anche se ai meno sprovveduti non provoca certo un tuffo al cuore, il lieto fine è scremato (non il solito “happy end”: in fondo Jack la sua penitenza la sconta), la torta che Jack riceve è, infine, un sermone spiritoso ed al contempo profondo sul senso e il valore della redenzione.
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