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Il collezionista

Regia di William Wyler vedi scheda film

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La recensione su Il collezionista

di Kurtisonic
6 stelle

Il film rimanda ad una nuova idea di cinema che viene richiesta dalla realtà dell’epoca, è la crisi di Hollywood che reclama un ricambio generazionale e ideologico sui contenuti, soprattutto sui modelli esplicativi, sulla demitizzazione dei suoi interpreti, si ricerca l’abbandono delle formule più classiche che fino ad allora sono state predominanti. Il collezionista è una dimostrazione di questi tentativi che hanno contrassegnato un decennio in America, quello degli anni sessanta, come interessante, tumultuoso, contraddittorio e non totalmente rivalutato come dovrebbe. Freddie, giovane psicopatico collezionista di farfalle, rapisce e segrega una ragazza, Miranda, da cui è attratto. Il regista Wyler contrappone per immagini le diversità ideologiche degli spazi cinematografici e della profondità dei personaggi. Agli esterni agresti, ordinati  e tranquillizzanti, cartoline del cinema classico, Wyler sostituisce lo scantinato claustrofobico della casa in cui Miranda è tenuta prigioniera e dove il suo sequestratore cerca di uscire dalla sua condizione alienata. Dove il film non si completa pienamente è proprio nello scambio del rapporto vittima-carnefice, nel quale i due protagonisti restano legati ai loro ruoli prefissati, pure non mancando le situazioni interiori di conflitto. Il personaggio di Freddie è tuttavia delineato ed efficace, il collezionista è lui, è l’artefice di un mondo interiore di difficile esplorazione, mentre Miranda, farfalla fra le tante, resta un po’ troppo classicamente  bloccata nel suo modello rappresentativo di vittima e di ragazza irreprensibile. In una bella sequenza si sviluppa fra i due un dialogo sull’arte e sulla letteratura che Miranda apprezza, sfocerà nella dimostrazione di inadeguatezza e incomunicabilità di Freddie, come se il regista volesse indicare una deriva possibile fra la mostruosa linearità del pensiero dell’uomo, simbolo di un linguaggio cinematografico più immediato e semplificato, con forme più complesse e articolate. La parola amore, che il folle e ingenuo Freddie usa come chiave di volta per giustificare le sue azioni, è svuotata di ogni senso, di forza morale e fisica. E’ l’illusione di un cinema stereotipato, consumato e retrogrado che egoisticamente vorrebbe riciclare sé stesso nella coazione a ripetere del dolore, dell’impossibilità di amare diversamente. Di fronte al  crollo assoluto dei valori del proprio mondo, il collezionista alla fine sposta solo le sue mire, cambia bersaglio, come se per rigenerare quello che sarà un cinema totalmente nuovo, se non di ibridarsi con nuove forme di linguaggio, avrà comunque bisogno per potere essere compreso di non abbandonare strutture e stilemi del cinema che lo ha preceduto.  

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