Regia di Florestano Vancini vedi scheda film
Nel 1950 una banda di tre balordi, orfani del fascismo, guidata da Paolo Casaroli seminò il terrore a Bologna (con un'incursione anche a Roma) commettendo omicidi e rapine. La breve serie di efferati colpi si arrestò in un epilogo che ebbe del grottesco: due di loro rimasero intrappolati all'interno di un'auto sottratta a un passante che però non partì: Casaroli venne ferito, il suo complice si suicidò freddamente.
Fedelissimo alla cronaca dei fatti, il film di Vancini guarda a quella stagione, collocata ad appena cinque anni dalla fine della guerra, come all'incapacità di riporre le armi ma anche a uno dei primi sussulti di una smania di avere tutto e subito, che avrebbe contagiato febbrilmente gli italiani a partire dagli anni '80. Lo fa attraverso lo sguardo smarrito del complice scampato alla sparatoria (Milian), il ragazzo dall'apparenza bonaria e tranquilla che si ritrovò in un gioco più grande di lui e che finì suicida dentro un cinema. Diseguale nelle sue parti, il film ha un lungo prologo incentrato sulla vita dei tre vitelloni di provincia smaniosi di fare soldi e nostalgici dei tempi della Decina Mas, mentre concede il minimo necessario alla ricostruzione delle azioni criminose dei tre, evitando così ogni tentazione voyeuristica. Un stile in cabina di regia più vibrante e teso e un'analisi più approfondita sul retroterra culturale di questo stravagante bandito e dei suoi complici avrebbero forse giovato al film.
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