Regia di Gustavo Serena vedi scheda film
Assunta Spina non è un precursore del neorealismo. Troppo diversi i contesti storici, troppo diverse le motivazioni. Ma è certo che inaugura una corrente cinematografica veristica alternativa a quella salottiero-decadente nel cinema italiano degli anni '10. Da rivedere e rivalutare.
Se pensando alla recitazione delle femmes fatales del muto ci viene in mente lo stereotipo tutto contorsioni e occhi levati al cielo, lo stile della Bertini rappresenta una bella iniezione di padronanza di sé. Agli antipodi dell'ipersensibilità decadente di Lyda Borelli e dei barocchismi di Pina Menichelli, Francesca Bertini governa con decisione lo spazio scenico in cui si trova. Pochi gesti secchi e precisi, e la nostra idea di "teatralità" in relazione ai diva film dei primi decenni del cinema va in frantumi.
In Assunta Spina (1915), Francesca Bertini invade il campo visivo dello spettatore tanto negli esterni che hanno come sfondo la Napoli degli anni '10, i paesaggi incantevoli e i vicoli, quanto nelle scene di interni. Le prime inquadrature, che hanno una funzione introduttiva non funzionale al racconto, ce la mostrano di profilo. Altera, capo levato e braccia sui fianchi, nella posa ieratica e spontanea al tempo stesso che diventerà vero Leitmotiv nel corso del film. Con studiata lentezza, come su un palcoscenico, compie un moto rotatorio in direzione degli spettatori perché possano ammirarla in tutto il suo fulgore. È effettivamente una donna di straordinaria bellezza. Si sistema lo scialle con rapidi movimenti, poi si rimette di profilo e china piano la testa come presagendo le tragedie che la vedranno protagonista. Tutto ciò con estrema naturalezza, senza nessuna impressione di artificio.
Eric de Kuyper, che ha analizzato approfonditamente la "purezza del gesto" della Bertini, porta ad esempio la prima scena d'interni. Assunta e Buttafuoco entrano da una porta sul lato destro, accolti dal padrone di casa, ma fatto qualche passo Assunta si dirige direttamente, con movimento rettilineo che “taglia” il fotogramma in due, verso il tavolo al centro dell'inquadratura, oltre che verso lo spettatore. I due uomini restano sullo sfondo ancora qualche secondo, mentre il focus della sequenza si trasferisce su Assunta. Al momento di sedersi a tavola, sta per sedersi ma, colta da un pensiero improvviso, cambia idea. Afferra una sedia (che secondo la Bertini era stata disposta male, cioè con la seduta rivolta verso lo spettatore anziché lo schienale), e la ruota con un gesto risoluto e esatto, il che le consente di sedercisi in modo "plastico". È solo un esempio fra i tanti della rivoluzione culturale che Francesca Bertini introduce nella cinematografia italiana imbevuta di dannunzianesimo estetizzante.
La recita della quotidianità forse non basta per definire Assunta Spina un antesignano del neorealismo. Troppo diversi i contesti storici, troppo diverse le motivazioni. Ma è certo che inaugura, assieme a Sperduti nel buio (1914), una corrente cinematografica veristica alternativa a quella salottiero-decadente. Corrente, peraltro, di cui la Bertini sarà pure protagonista con film come La signora delle Camelie (1915), girato subito dopo Assunta Spina, o Malia (1917), ma pur sempre salvaguardando la propria originalità espressiva. Contrariamente a Asta Nielsen, interprete eccelsa, ma mai troppo conosciuta né apprezzata al di là dello spazio europeo, la maniera recitativa inaugurata dalla Bertini e la sua grande versatilità nel passare dalla commedia alla tragedia, dal melodramma al dramma verista, presto varca i confini patri. La storia del faraonico contratto offertole dall'americana Fox, e rifiutato, fa parte della leggenda della sua vita. Su un piano più strettamente artistico, il suo modello nell'esprimere le passioni e padroneggiare la scena sarà ereditato e fatto proprio da tutta una generazione seguente di attrici, Garbo in testa.
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