Regia di Leo McCarey vedi scheda film
La mitologia attorno a Love Affair è legata soprattutto ad una dimensione oserei dire magica che è del tutto insita alla sua natura squisitamente cinematografica. Intendiamoci. Gli elementi in gioco rischiano, sulla carta, di sconfinare nelle pagine patinate di un rotocalco o nelle vignette d’un fotoromanzo d’altri tempi: su una love boat, un pittore naturalmente francese naturalmente seduttore s’innamora di una cantante americana che trova il tempo di far conoscere alla nonna pianista che vive in una bella villa su un’isola. La loro storia d’amore è racchiusa essenzialmente in questo breve incontro sul mare. Si danno appuntamento per sei mesi più tardi presso l’Empire State Building (“il posto più vicino al cielo”): qui lui l’aspetta fino a notte. E lei? Probabilmente chiunque conosce il proseguimento della lacrimevole storia d’amore, tuttavia non trovo ragioni per togliere allo spettatore la delizia del lieto melodramma.
E questo proprio perché Love Affair è un film ancor’oggi popolare nella sua accezione più leggera, squisita, romantica: ne sono testimonianze i due remake (l’altrettanto bello e più glamour Un amore splendido, sempre di Leo McCarey; Love Affair di Warren Beatty) e soprattutto l’omaggio Insonnia d’amore di Nora Ephron. Love story delicata su due personaggi in perenne ricerca d’amore in quanto fine e senso della vita, mai mieloso né fatuo, è una formidabile macchina da guerra del suo genere che scalda il cuore. McCarey sa cogliere i turbamenti dei volti, i pettegolezzi che volano di bocca in bocca, i silenzi esplicativi che sono la cifra della sua commedia umana tra la Depressione e il New Deal – così come la dimensione musicale in cui si stagliano i suoi eroi. Straordinaria Irene Dunne, maliziosa e rassicurante che conta su un personaggio scritto benissimo (ennesimo Oscar mancato per lei), mentre Charles Boyer funziona col suo fascino da divo d’esportazione.
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