Regia di Claude Chabrol vedi scheda film
Per il suo primo film con Isabelle Huppert protagonista, Claude Chabrol s’ispira ad una vicenda realmente accaduta e che divise (anche politicamente) l’opinione pubblica francese. Parigi anni ’30. Violette, giovanissima figlia di una coppia piccolo-borghese, pur di sottrarsi alla mediocrità della sua esistenza, frequenta giovani studenti del “Quartier Latin” e, occasionalmente, si prostituisce. Ammalatasi di sifilide, finisce tra le braccia di uno scansafatiche, un gigolò per il quale deruba i suoi stessi genitori, fino ad avvelenarli entrambi nella speranza di ereditarne i risparmi. Il padre muore, la madre sopravvive. Rinviata a giudizio, subisce un processo nel corso del quale ottiene il perdono della madre e spunta una fondata ipotesi di violenza sessuale da parte del padre. Violette viene nondimeno condannata a morte. Anni dopo, verrà graziata, poi scarcerata e infine riabilitata. Si sposerà, avrà cinque figli e morirà pacificata con se stessa e il suo ambiente nel 1963. Il film narra le vicissitudini di Violette Nozière negli anni cruciali della sua esistenza, dalla contrazione della malattia nel 1932 al processo che si concluse nell’ottobre del 1934.
Colloco senza esitazione “Violette Nozière” tra i capolavori di Claude Chabrol. Il suo incontro con Isabelle Huppert fa scintille fin da questa prima esperienza. Il Maestro ha trovato una vera e propria musa, l’attrice ha incontrato l’autore che più di chiunque altro saprà valorizzarla. Da un lato, il regista racconta una vicenda torbida al punto giusto per il suo stile distaccato ma pungente, di chi sa osservare senza giudicare; dall’altro, Isabelle Huppert conferisce al suo difficile personaggio tutta l’ambiguità della ragazza che conduce una doppia vita quasi con indifferenza. Quando è contenta lo è sommessamente, quando è sottoposta a prove durissime la cosa non sembra riguardarla. Il suo sguardo riesce ad essere contemporaneamente assente e penetrante. Lungo tutto il film, la fotografia svolge un ruolo essenziale. I colori sono delicati e armonici, la ricostruzione degli ambienti parigini dell’epoca è accuratissima, entra nei dettagli delle abitazioni, dei locali pubblici, del tribunale... Il copricapo anni ’30 (una sorta di “cappello sulle 23”) di Isabelle Huppert è indimenticabile, una pietra miliare nell’iconografia dell’attrice. Claude Chabrol le mette accanto una coppia di attori formidabili, nel ruolo dei genitori di Violette. Stéphane Audran (all’epoca ancora moglie del regista) è semplicemente perfetta come madre bacchettona, nevrotica ed egoista. Ostenta attenzione e premura per la figliola, ma non sa ascoltarla, non tenta neppure di capirla, condizionata come è dal suo ruolo di piccola borghese perbene, moglie, madre e donna di casa. Jean Carmet (attore di riferimento nel cinema d’Oltralpe, ma poco conosciuto in Italia) offre qui uno dei suoi ruoli più convincenti. Padre e marito sconfitto in partenza, uomo mediocre e retrogrado, è convinto di poter svolgere il suo ruolo di “pater familias” attenendosi acriticamente alle regole del buonsenso prefabbricato, fingendo talvolta di fare la voce grossa, per poi lasciarsi raggirare come un bambino. Non lascia indifferenti la breve ma preziosa partecipazione di un giovanissimo Fabrice Luchini, efficace studente del “Quartier Latin”. “Violette Nozière” appartiene alla folta schiera di opere maggiormente riuscite del suo autore. Film introvabile in lingua italiana, o quanto meno sottotitolata in italiano. Deprimente!
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