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Il Caimano

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su Il Caimano

di FilmTv Rivista
8 stelle

Ci sono dei momenti nella vita in cui, piÙ che mai, il personale coincide con il politico: “riti di passaggio”, svolte esistenziali e anagrafiche, abbandoni, crisi di identità e disastri familiari, che vanno a saldarsi senza soluzione di continuità con l’atmosfera soffocante, la bruttezza dilagante e i ben più tangibili orrori che ci circondano. Il franare della nostra vita e del nostro io coincide con impressionante puntualità con la rovina morale del mondo in cui viviamo. È quello che accade a Bruno, produttore d’antan di trash italico, nel nuovo film di Nanni Moretti, Il Caimano. Arroccato nel suo teatro di posa nel quale ormai si girano solo le televendite (I Superdivani), Bruno è sull’orlo del fallimento nonostante la rivalutazione “critica” dei suoi film; per di più si sta separando dalla moglie Paola (s’intuisce, più per volontà di lei) che, dopo essere stata la star dei suoi film, ha intrapreso la carriera più tranquilla di mamma (hanno due bambini, di 9 e 7 anni) e di corista concertista. Sono due persone normali, Bruno e Paola, discrete, private, educate, non appariscenti, profondamente “morettiane”: Silvio Orlando e Margherita Buy, praticamente “al naturale”, e bravissimi. Fuori, c’è “il caimano”, ovvero Silvio Berlusconi, intrattenitore e politico funambolico, sulla cui ascesa vuole fare un film una giovane regista esordiente che, come ultima spiaggia, porta la sceneggiatura a Bruno. Un film dove l’eroe è cattivo (come «Gian Maria in Indagine su un cittadino», sottolinea Michele Placido – in arte Marco Pulici - interpellato per la parte, e che vorrebbe renderlo, com’era Volonté, “affascinante”), dove si vanno a toccare i nervi scoperti degli ultimi vent’anni di faccende, vizi, nani e ballerine italiani, dove alla fine “l’eroe”, forse, perde. «Perché, per il tuo primo film, non scegli qualcosa di più personale?», chiede Bruno preoccupato alla giovane autrice. «Ma questo è personale!», ribatte lei che, non a caso, vive serenamente in coppia con una donna, insieme alla quale hanno “fatto” (in Olanda) una bambina. Tocchi, sguardi, battute appena suggerite da una delle sceneggiature più esemplari degli ultimi anni (che vive di non detto e della sottile autoironia collettiva di un gruppo di attori, registi, critici, artisti che non hanno esitato a prendere in giro tic e difetti personali perfettamente riconoscibili), gesti quotidiani che al cinema sono sempre più rari: un ragazzino alla ricerca di un tassello del Lego, una tenda da campeggio montata nella stanza triste di un residence, un assalto giocoso e maldestro per bloccare una rivelazione difficile, un bel maglione azzurro fatto a pezzi con disperazione. Si tesse così, con un dolore accorato e civilmente metabolizzato, il sottotesto del film: la storia di un amore che finisce, della tristezza e della solitudine immense, Silvio Orlando perso una sera tra la folla o affannato sul Lungotevere, Silvio Orlando e Margherita Buy che si guardano ancora, e si affiancano, e si superano, su due auto diverse, dopo l’atto legale che sancisce la loro separazione, e sotto Moretti lascia scorrere quasi per intero le suggestioni amarissime dell’abbandono di The Blowers Daughter di Damien Rice. “And so it is, just like you said it would be, life goes easy on me, most of the time”. Non posso staccare i miei occhi da te, non posso staccare la mia mente da te… finché non incontrerò qualcuno di nuovo. C’è uno strazio contenuto in questa storia normale che si snoda in un mondo (non per tutti) abnorme; ed è molto bravo Moretti nel fondere, senza scossoni o salti, i vari registri del racconto, lo humour e la rabbia politica, la tristezza e la tenerezza. In equilibrio magnifico, Il Caimano ci racconta quanto la nostra personale infelicità e il nostro senso di inadeguatezza si rispecchino nel raccapricciante affresco che ci contiene, fatto di ballerine e majorettes dalla sgambatura alta, di autopromozione spudorata, di corruzione conclamata, di funzionari Rai, produttori e giornalisti sempre più cauti, di progressiva, tristissima colonizzazione del cervello di una nazione e una cultura. C’è un ricordo del Fellini tristissimo e disilluso della Voce della luna nelle scene del film su Berlusconi immaginate da Bruno; fino a che quello squallore freddo felliniano irrompe nella vita reale, con una ruspa che abbatte il muro dello studio di posa, o con una caravella che di notte parte su un Tir verso la spiaggia di Torvajanica, o con Berlusconi in persona, quello vero, che dalla Tv fa il suo show stupefacente davanti alla Commissione europea o ai giudici di Milano. Non si riesce nemmeno più a inveire contro il televisore, come faceva Moretti in Palombella rossa; si può solo restare allibiti, a bocca aperta, a guardare il nostro Presidente del Consiglio che bolla tutti i rappresentanti europei come “turisti della democrazia”. «Siete un popolo a metà tra orrore e folklore», dice sornione il saggio distributore polacco Jerzy Sturovski (il grande Jerzy Stuhr), l’unico che fece soldi con Cataratte (film “culto” di Bruno), rimontandolo, tagliandolo e intitolandolo Tutti gli uomini di Aìdra. In fondo, quei trash (Maciste contro Freud, Le scarpe di Gaia, Stivaloni porcelloni, Mocassini assassini – ah, le scarpe! ossessione ricorrente di Moretti, non solo in Bianca) sono meno agghiaccianti del new horror in giacca e cravatta cui siamo costretti ad assistere quotidianamente. Perciò, non importa poi molto sapere quali e quanti siano gli attori che nel Caimano interpretano Berlusconi: quel che è certo è che proprio lui, “the real thing”, è il migliore interprete di se stesso, almeno nel lato esibito, “pubblico”. Perché naturalmente c’è anche il lato oscuro, che arriva in coda e che getta sul personaggio dell’imbonitore politico un’inquietante luce “andreottiana”. L’ultima, gelida personificazione di Berlusconi ha del diabolico, fa paura e, senza dirlo, preannuncia quello che potrebbe accadere. Se…

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 13 del 2006

Autore: Emanuela Martini

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