Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Moretti trova la chiave giusta per raccontare Berlusconi: prenderlo non di petto (come invece fa la regista del film nel film, al quale è affidato il compito di riassumere i fatti puri e semplici) ma obliquamente, mostrando gli effetti che ha avuto la sua forza attrattiva sull’italiano medio. Perciò sceglie come protagonista un produttore cinematografico, che era stato destrorso nei ruspanti anni ’70 (scelta opportuna, che evita un giudizio ideologico a priori) e che ora si trova in difficoltà professionali e umane: non riesce più a lavorare, si sta separando dalla moglie, si avvia verso una vecchiaia solitaria e squallida (tristissima la scena in cui, a sera, torna nel suo loculo abitativo ricavato all’interno dello studio). Così il malessere esistenziale di una persona si rispecchia nello smarrimento morale di un popolo, si oggettiva nell’uomo che ha dato il cattivo esempio calpestando senza ritegno le regole della convivenza civile: l’Italia berlusconiana è un paese in cui è brutto vivere, non tanto perché ci sia Berlusconi quanto perché ci sono i suoi elettori, che modellano il proprio comportamento su quello del capo e da esso desumono l’autorizzazione della propria cialtroneria. Moretti riesce a dire tutto ciò senza proclami, senza denunce, solo seguendo le vicissitudini quotidiane di un uomo qualunque, nella miglior tradizione della commedia italiana; e ha il coraggio di un finale senza speranza, grandiosamente profetico, un incubo grottesco e tragico da cui non si riesce a vedere una via d’uscita. Una sola sbavatura, la scena in cui la regista rivela di essere lesbica e di avere avuto un figlio all’estero grazie all’inseminazione artificiale: comunque la si pensi sul tema, è solo uno spot propagandistico che non c’entra nulla.
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