Regia di Roger Vadim vedi scheda film
Segretamente innamorata del cugino, prossimo sposo di una sua cara amica, la giovane e bella Carmilla De Karnstein è ossessionata dal fantasma di una sua antenata, morta in circostanze misteriose e creduta essere un vampiro. Inizia così a sviluppare un comportamento psicotico che la fa apparire adorabile e solare durante il giorno, quanto cupa e sanguinaria al calare delle tenebre. Finale tragico.
Liberamente ispirato a 'Carmilla', dramma gotico e tardo ottocentesco di Sheridan Le Fanu, questo originale ed eccentrico adattamento di Roger Vadim è un curioso esperimento di contaminare il naturalismo estemporaneo della 'Nouvelle Vogue' con l'impostazione più classica del racconto horror di matrice anglofona (Hammer Production) e finendo inevitabilmente per cadere nella trappola di un melodramma un pò manicheo la cui incerta ambiguità fa pendere l'ago della bilancia più per la scontata interpretazione psicanalitica (narcisismo patologico, omosessualità repressa, schizofrenia) che per i risvolti fantastici di una tradizione popolare declinata secondo i canoni di una coraggiosa modernità sociale (il menage a trois). Morboso e sensuale, anche grazie al geniale cromatismo in cui predominano il blu ed il rosso della tavolozza di colori utilizzata dal grande Claude Renoir, il film di Vadim mantiene una oscura fascinazione figurativa che riproduce con una certa fedeltà le citazioni antropologiche legate al mito del vampiro (i ritornanti per amore, i pubblici processi con tanto di esumazioni cadaveriche, i sintomi equivoci di un male inspiegabile), spostando l'attenzione sulla conturbante ambiguità della 'morta innamorata' più famosa della storia (dopo la Clarimonde del francese Teophile Gautier) la cui continuità temporale da incorruttibilità sepolcrale (Camilla,Mircalla,Millarca sono tre anagrammi di altrettanti nomi della stessa persona) viene sostituita dallo sdoppiamento di personalità di una candida fanciulla che nasconde segreti traumi d'infanzia e la singolare maledizione di una antica tara familiare.
Et mourir de plaisir (1960): Annette Vadim
Et mourir de plaisir (1960): Una scena del film
Et mourir de plaisir (1960): Annette Vadim
Et mourir de plaisir (1960): Annette Vadim
Et mourir de plaisir (1960): Elsa Martinelli
Et mourir de plaisir (1960): Elsa Martinelli e Annette Vadim
Anticipatore, meno coraggioso, tanto delle divagazioni oniriche e sessuofobiche di Alain Robbe-Grillet (Glissements progressifs du plaisir - 1974) che dei conturbanti vampiri lesbici alla Jess Franco (Vampyros Lesbos - 1971), il film di Vadim procede senza particolari sussulti narrativi ed il solo momento surreale di un incubo di morte che, sul finale, sembra stranamente virato alla scelta di un bianco e nero che spezzi la riconoscibilità cromatica della veglia e della consapevolezza diurne. Più che il virile Mel Ferrer e l'esuberante Elsa Martinelli, è proprio la bellezza interdetta di una languida Annette Strøyberg in Vadim che ci riconduce con straordinaria esattezza filologica al modello originale di una innocenza del male di cui tutti vorremmo, nottetempo, cadere vittime.
Glissements progressifs du plaisir (1974): Anicée Alvina
Vampyros Lesbos (1971): Ewa Strömberg e Soledad Miranda
Et mourir de plaisir (1960): Elsa Martinelli e Annette Vadim
Et mourir de plaisir (1960): Annette Vadim e Mel Ferrer
Et mourir de plaisir (1960): Una scena del film
Et mourir de plaisir (1960): Annette Vadim
Et mourir de plaisir (1960): Annette Vadim
Coproduzione italo-francese, girato a Cinecittà e con un titolo italiano che, tradendo ancora una volta l'affascinante e significativo originale francese (Et mourir de plaisir), è la traduzione letterale del più prosaico e rassiccurante titolo inglese.
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