Regia di John Sturges vedi scheda film
Meglio vivere un giorno da leoni che cento da pecora. Detto oggi, questo esergo è praticamente fuori moda, ma in tempi non sospetti era tranquillamente associabile anche alle ultime ruote del carro, quegli uomini che, anche sottoposti alle peggiori condizioni e disarmati, non avevano alcuna intenzione di rinunciare all’azione. Non bastava un rischio elevato per scoraggiarli, volevano comunque offrire fino in fondo il loro contributo a una causa maggiore e comune, anche quando il tornaconto era limitato.
Questa motivazione, accompagnata da un indomabile senso di libertà, contraddistingue La grande fuga, un film dall’elevato grado d’intrattenimento, che comunque racchiude note dal tenore contrastante, con uno spiccato senso delle proporzioni, raccontando un pezzo di Storia e rendendo giustizia a uomini valorosi.
Durante gli ultimi atti della Seconda Guerra Mondiale, un gruppo di ufficiali delle forze alleate, esperti in evasioni, è rinchiuso nello Stalag Luft III, un campo tedesco di massima sicurezza.
Nonostante tutte le precauzioni adoperate dai nazisti, un gruppo di prigionieri organizza un piano di fuga. Mentre il capitano Virgil Hilts (Steve McQueen) distoglie l’attenzione delle guardie evadendo più volte per poi essere fermato sul più bello, Robert Hendley (James Garner), Roger Bartlett (Richard Attenborough), Colin Blythe (Donald Pleasence), Louis Sedgwick (James Coburn) e Danny Levinski (Charles Bronson) pianificano la grande fuga, costruendo tre tunnel sotterranei con l’idea di liberare in un colpo solo circa 250 prigionieri.
Settantasei di loro riusciranno a evadere. Di questi, cinquanta moriranno, altri verranno ricondotti al campo e solo una minuta parte riuscirà ad arrivare in un territorio libero. Questo dice la Storia.
Ispirato dalle testimonianze dirette, prelevate dal romanzo scritto dal sopravvissuto Paul Brickhill, La grande fuga è un esempio luminoso della migliore Hollywood, che manipola la verità senza ledere la dignità impressa a chiare lettere in quanto realmente successo.
È un film ad alto budget, che John Sturges ha potuto dirigere in virtù del grandioso successo de I magnifici sette, una brillante commistione di istanze che, in ogni sua mutazione, non fa altro che migliorarsi.
Ciò avviene per merito della sceneggiatura affidata a W. R. Burnett, dai cui romanzi sono stati tratti film come Giungla d’asfalto e Una pallottola per Roy, e rinvigorita dai tratti realistici degli ufficiali britannici iniettati da James Clavell, un testo completo e coeso, perfetto per essere messo in scena da un regista abile ed esperto.
Il film mette subito le cose in chiaro, tratteggiando fuggitivi di prima categoria che si mettono subito all’opera, nonostante le misure di massima sicurezza a cui sono sottoposti, d’altronde per loro è un dovere ostacolare in ogni modo il nemico.
Il confronto tra le parti è sostenuto e non difetta d’ironia, tanto meno di stilettate appuntite, con un impianto armonioso che valorizza tempi lunghi anche grazie a diversivi continui. Inoltre, la spaziatura è semplicemente formidabile, anche quando passa dalla prigionia alla fuga in campo aperto.
Un’evoluzione che ne incrementa l’anima, celebrando un gruppo di eroi con l’ossessione per la fuga. Un secondo atto che, nonostante sia articolato su rette divergenti, non accusa alcun tentennamento, con le diverse striature coagulate con un’intensità encomiabile, tra morti (infami), (nuova) prigionia e (insperata) libertà.
In aggiunta, il cast è immenso, con contributi polifonici a formare un collettivo di superlativa lucentezza. La compostezza di James Garner fa il paio con la ruvidezza di Charles Bronson, la sicurezza di James Coburn contrasta le criticità espresse da Donald Pleasence, alla classe di Richard Attenborough corrisponde l’animo sovversivo di Steve McQueen, che con questa interpretazione conoscerà la consacrazione (le sue fughe sono emblematiche e quella in moto le batte tutte).
Un coro a più voci perfettamente coordinato, un fronte di lotta che piazza rispettabili scorciatoie narrative, un felice matrimonio tra la realtà storica (la Gran Bretagna perseguì chi uccise i cinquanta fuggiaschi, condannandoli a morte nel 1948 ad Amburgo) e le esigenze da show business di Hollywood.
Palpitante.
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