Regia di Ishirô Honda vedi scheda film
Progettato inizialmente ispirandosi all’occupazione dell’Indonesia e alla triste tragedia nominata “Daigo Fukuryu Maru”, ove dei pescatori giapponesi rimasero uccisi in seguito ad un esperimento nucleare statunitense, “Gojira” ebbe uno script sottoposto alle forche caudine da diversi fronti, finché la Toho si persuase a pubblicare un “monster-movie” con una storia inquietante che simboleggiasse l’olocausto e il terrore della popolazione causato dagli attacchi di Hiroshima e Nagasaki. Il production design, invece, fu curato da Teizo Toshimitsu e Akira Watanabe, i quali diedero a Gojira (combinazione di gorilla, gorira e balena, kujira) quell’aspetto iconico a metà tra un tirannosauro e un iguanodonte.
Secondo il produttore Tomoyuki Tanaka “Godzilla” avrebbe dovuto espletare il panico per l'invenzione della bomba atomica: «l’umanità l’aveva creata e ora la natura si sarebbe vendicata». Assumendo le stesse caratteristiche di una creatura radiogena devastante, Gojira sarebbe stato un nemico impossibile da abbattere… Nel frattempo, però, l’audience si immedesimava con esso, ricordando le atroci esperienze della guerra, e identificandolo addirittura quale una vittima. Il sentimento di prostrazione e sgomento viene trapelato encomiabilmente dall'ottimo cast; naturalmente spicca la presenza del leggendario Takashi Shimura, il Dr. Kyohei Yamane, studioso scettico ai piani dell’annientamento di Gojira, in quanto comprende subitaneamente il valore scientifico della scoperta, benché, nel contempo, deduca la bieca propensione da parte dell’establishment di eliminare la minaccia, annullando l’occasione irripetibile di esaminare un essere preistorico. Funziona in maniera esaustiva pure il triangolo amoroso fra il capitano della marina Hideto Ogata (Akira Takarada), Emiko (una delicatissima e suadente Momoko Kochi), la figlia di Yamane, e l’ex fidanzato di quest’ultima, Daisuke Serizawa (il bravissimo Akihiko Hirata), ovvero l’inventore del pericolosissimo esplosivo ad idrogeno. Il dissidio doloroso che caratterizza il profilo cupo ed afflitto di Serizawa si dipana a macchia d’olio nei gangli della trama, tratteggiando efficacemente un individuo cosciente del suo tremendo dispositivo, e per questo motivo consapevole che l'ordigno, nelle mani sbagliate, diventerebbe letale per il mondo intero… Honda coordina ieraticamente il ritmo e approva la scelta di celare Godzilla per una ventina di minuti dall'inizio, preferendo di non esibirne del tutto la sagoma e accumulando quindi la suspense; invero, il costume utilizzato per Gojira era una scurissima tuta in gomma piuma (in cui venivano applicate delle rientranze in lattice per definirne la pelle squamosa), dai dettagli appena accennati, che si dimenava tra alcuni edifici costruiti in scala 1:33, mentre la scia di fuoco emessa dal mostro venne elaborata alternando i fotogrammi contenenti un centinaio di animazioni differenti. Le sequenze della distruzione di Tokyo sono ammalianti, avvolte da una coltre sulfurea, pregnanti di un pathos mordace, grazie soprattutto alla capacità di rievocare mesti squarci di meditazioni critiche sull’era post-bellica e sulle terribili catastrofi che generarono le radiazioni, mantenendo pertanto un’atmosfera caustica, luttuosa. Le scene di una madre ferita, o quella in ospedale tra i letti delle vittime, così come l’emozionante inquadratura all’interno del tempio dove i bambini si esibiscono in una sorta di canto liturgico, sono attimi realmente toccanti e non si relegano a una raffigurazione melense di un grossolano melodramma; è una rappresentazione lacerante, eloquentemente armonizzata dalle musiche di Akira Ifukube, nonché proverbialmente allestita dall’elegante cosmesi noir di Masao Tamai, la quale lascia intravedere la parvenza di Godzilla solo in pochi spezzoni ambientati di giorno (quelli ove vengono palesati alcuni ovvi limiti relativi all’artigianalità cinematografica degli anni ‘50).
Un film epico, con delle performance appassionate, frammenti di puro intrattenimento e parentesi struggenti. Un avvenente lavoro della settima arte, il cui vis viene sciorinato da un uso creativo e corroborante dell’illuminazione, delle tecniche manifatturiere e del suono. Caldamente raccomandata questa versione originale del 1954 (sostituita due anni dopo con la release statunitense manipolata da un montaggio accorciato, contenente le partecipazioni stelle e strisce).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta