Regia di Isabel Coixet vedi scheda film
Hanna (Polley) è un'operaia modello: da anni non prende un giorno di ferie, non si ammala, fa benissimo il suo lavoro in fabbrica. La direzione la invita a prendersi una pausa, non fosse altro che per ragioni di equilibrio sindacale. Refrattaria a qualsiasi tipo di divertimento e relax, Hanna non trova di meglio che recuperare le sue competenze da infermiera per assistere un ustionato grave (Robbins) bloccato in una piattaforma petrolifera in mezzo all'Atlantico. Con lei ci sono soltanto uomini che vogliono dimenticare il passato, come d'altronde lei stessa.
La formula scelta dalla regista iberica è ancora quella del precedente, struggente e magnifico La mia vita senza me: un racconto sul dolore come esperienza "necessaria", sostenuto dalla prova intensissima di Sarah Polley. Se in quel film la corsa verso esperienze mai fatte era l'ultimo anelito di vita della protagonista, qui il tema viene rovesciato nel suo contrario, quello dell'oblio. Oblio di una guerra, quella dei Balcani, che è difficile raccontare per le sue atrocità, far transitare le parole dal cervello alla gola. È da quella guerra troppo in fretta è stata dimenticata che proviene Hanna. Diretto senza virtuosismi ma con accenti d'autore molto personali (l'ambientazione è del tutto inedita) e qualche tocco naïf (l'oca che starnazza sulla piattaforma, il karaoke di due tecnici diventati amanti), il film è vagamente oleografico nella prima parte ed è eccessivamente esplicativo in quella finale.
Magnifica la colonna sonora, impreziosita dalle canzoni di Tom Waits, Antony and the Johnsons, David Byrne e Paolo Conte.
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