Regia di James McTeigue vedi scheda film
Qualunque film, nel suo piccolo, esprime un concetto, un’idea. A volte però un film ne dichiara apertamente il ruolo e l’importanza; la capacità di produrre cambiamenti radicali (“Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo” dichiarava il prof.Keating - R.Williams - ne L’Attimo fuggente), ma spesso vengono pur sempre percepite dallo spettatore come declamazioni vacue, che lasciano il tempo che trovano.
V per vendetta, movendo da queste premesse, non si accontenta, quindi, di manifestare l’ennesimo concetto astratto. Passa, piuttosto, dal piano delle idee a quello dei fatti.
Ma, per far ciò, l’artefice del cambiamento in questione, “V” (non più un uomo con una sua identità, ma un simbolo, portatore di un’idea universale) si vede costretto a sottoporre qualcun altro - Evey (N.Portman) - ad un processo di mortificazione ed annichilimento, simile a quello da lui subito tempi addietro, in modo da farle perdere l’identità e trasfigurarla così, come lui, in un’idea (Evey dichiarerà, infatti, di essere disposta a morire pur di non tradire V; ovvero, rinnegare se stessa piuttosto che rinnegare un’idea) pronta per essere propagata a macchia d’olio ovunque abbia terreno fertile. Ovunque ci sia qualcuno disposto a farla propria.
E in un futuro non troppo lontano dominato da uno stato oppressore e liberticida (ma attenzione: non un preciso regime dittatoriale di destra: il bersaglio di V è la tirannide in sé con la sua negazione di libertà e dei diritti umani fondamentali) sembrano in molti (dimessi i panni da patetici telespettatori) ad essere disposti a farlo.
Così, siamo tutti noi (a detta di Evey, ma il suo mi pare realisticamente più un auspicio che una certezza) V.
E il sapore della vendetta non è mai stato così dolce.
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