Regia di Umberto Marino vedi scheda film
Sceneggiatore e regista curioso, Umberto Marino deve essere stato fulminato su una delle tante strade che portano al Signore. Dopo aver firmato i televisivi Sant’Antonio da Padova e Il bambino di Betlemme, ha scritto e diretto un film che si offre stoicamente al pubblico ludibrio della critica: «La storia di tutte le storie d’amore» - come enfaticamente strilla la frase di lancio, tra un matematico autistico e una senza tetto né legge. Ma non siamo né dalle parti della Varda, né di quelle di Rain Man (anche se l’interpretazione del volenteroso Bova ammicca non poco all’indimenticata performance di Dustin Hoffman), piuttosto ci si ricorda di Carax e dei suoi Amanti del Pont Neuf, in un rincorrersi di malattie fisiche e dell’anima, tra metaforici svolazzar d’uccelli e scene oniriche intinte in altrettanti simbolici liquidi amniotici. Lo sfondo è una Torino trafficata di rumori: una città spazzata dalle insensibilità che non si vede e, qua e là, si intuisce. Una serie infinita di canzoni contrappuntano le immagini guastando l’atmosfera zeppa di tormentoni che (a)ritm(et)icamente supportano i sogni e gli incubi dei due protagonisti e le scelte stilistiche di un Marino che si sforza di uscire dagli stereotipi e dai didascalismi genetici della cultura cinematografica italiana, (conta)minando la scena con un idrante dalla gettata ipertrofica. Le dinamiche incendiarie si spengono e si infiammano, spiazzano e sbandano, imbarazzano e coinvolgono, attraggono e respingono. Al pari delle accidentate interpretazioni, puntellate di contraddizioni e tuttavia vitali, melò, appassionate, innamorate. Donatella Finocchiaro rimane una spanna sopra gli altri (c’è anche il comico Max Giusti nel suo primo ruolo drammatico): nella sua vana, disperata, straziante ricerca d’amore ha la forza del solo istinto abbracciato al suo sguardo.
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