Regia di Charles Chaplin vedi scheda film
La figura di Adenoid Hynkel/Adolf Hitler non è una caricatura da fantapolitica; è, piuttosto, il realistico ritratto dell'isteria del potere, del tiranno che trasforma le sue personali avversioni e manie in un sogno delirante di portata storica. Chaplin smaschera, dietro la facciata di un progetto grandioso ed apparentemente perfetto, un personaggio maldestro e umorale, circondato da gregari protervi ma fondamentalmente incapaci. Il Führer è un capocomico candidamente megalomane, che ha luminose idee per lo spettacolo, ma non ha né il talento, né i mezzi per metterle effettivamente in scena. La sua reboante retorica è come l'eterno trailer di un kolossal che non vedrà mai la luce: questa è l'anima paradossale del Terzo Reich, su cui il film impernia la sua malinconica comicità, posticipando al monologo finale la rivelazione dei risvolti più tragici. Prima di allora tutto sembra un gioco tra buontemponi un po' maneschi, un passatempo intellettuale a metà strada tra il meccano e il Risiko. Questa è la guerra vista col cinico distacco della stanza dei bottoni; così tocca ai personaggi del popolo far emergere, a poco a poco, la timida luce dei sentimenti umani. Questo è un bagliore che rimane impercettibile sul fondo fino a che, per puro caso, la voce di un barbiere ebreo innamorato si trova amplificata da un microfono; è allora che il piccolo fremito individuale assume la proporzione di un proclama universale, che chiama a raccolta, nel mondo, la volontà e la coscienza dei molti contro la cupa follia dei singoli. I personaggi de "Il grande dittatore" sono troppo teatrali e romanzeschi per fare di questo film un'opera di propaganda: il suo intento è, piuttosto, richiamare il pubblico alla realtà del tempo, su cui l'autore getta uno sguardo impietosamente lucido e drammaticamente appassionato.
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