Regia di Charles Chaplin vedi scheda film
Il dittatore di Tomania Adenoid Hynkel (ma è proprio lui? ha un’aria così strana) sale i gradini del palco e pronuncia il discorso che tutto il mondo avrebbe voluto sentire: una scena che non posso mai rivedere senza mettermi a piangere. Perfettamente d’accordo col Mereghetti: “discutibile - ma solo dal punto di vista del linguaggio cinematografico - la lunga perorazione finale (sei minuti)”; solo che qui siamo, appunto, in un territorio che si trova al di là del cinema. Chaplin introduce effetti stranianti (i nomi dei personaggi e dei paesi storpiati ma ben riconoscibili, le insegne dei negozi nel ghetto scritte in esperanto, le croci frecciate anziché uncinate) per far capire che sì, quello è proprio il nostro mondo ma che basta un piccolo scarto per ritrovarlo diverso; lascia trasparire una sottile sfiducia sulla possibilità che il nazismo imploda per le resistenze dell’aristocrazia guerriera che esso aveva assorbito (l’ufficiale ribelle si autoesenta dal sorteggio di chi dovrà compiere l’attentato, non rinuncia ai privilegi del suo rango); ma la Goddard non si stanca di guardare in macchina e di esortare lo spettatore a non perdere la speranza in un mondo migliore. E tutto ciò all’interno di un film che, nonostante l’argomento, fa anche ridere. Pare che Hitler se ne sia fatto proiettare una copia in privato, schiumando di rabbia al vedersi così contraffatto: a pensarci, sembra la scena di un film comico. Forse non il miglior film della storia, ma sicuramente il momento in cui il cinema ha toccato il suo punto più alto.
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