Regia di Kim Rossi Stuart vedi scheda film
Il Lucignolo di Benigni, Gianni padre di Paolo con Amelio, il Freddo di Romanzo Criminale, Renato padre di Tommy nella sua opera prima. Anche libero va bene segna l’esordio dietro la macchina da presa del trentasettenne ed eccellente attore italiano, Kim Rossi Stuart.
La storia racconta dell’undicenne Tommy, un bambino molto sensibile e privato dalla tragedia famigliare che vive: la mamma va in continuazione via di casa, il padre è un uomo buono, ma la fatica esistenziale distrugge il suo equilibrio. Quando tutto sembra essersi sistemato, ecco che all’improvviso compare nuovamente la madre. Dopo un primo momento di ritorno sereno alla vita familiare, la donna andrà via di nuovo. Per Tommy sarà un nuovo forte dolore.
Rossi Stuart ha saputo, come un bravo pittore fiammingo, dipingere in modo abbastanza convincente il ritratto di un vasto strato sociale che ormai anche in Italia rappresenta un fenomeno. La dignitosa povertà di migliaia di famiglie che “tirano a campare”, nella speranza che “ogni giorno sia un nuovo giorno” è al centro del suo obiettivo. Se a ciò si aggiunge la presenza dei figli, come nel caso di Renato, con un maschio e una femmina che apparentemente sembrano non provare alcuna mancanza (finanche il nuoto e la danza riempiono le loro giornate), tutto sembra complicarsi. Infatti, in Anche libero va bene tutti sembrano fuggire da sé stessi e dalla propria quotidianità (o responsabilità?). Una madre fugge dall’angoscia di sentirsi legata per sempre ad un unico uomo, per di più con figli; un padre deve destreggiarsi tra la mancanza di lavoro e la possibilità di sopperire ad un vuoto che comunque in casa si avverte; e i due figli, entrambi coscienti di riempire quel vuoto interiore, che non è fame di carne (quella che Tommy getta di nascosto da suo padre), ma d’amore.
Rossi Stuart, alla maniera dei Neorealisti non sdegna di farci entrare negli interni casalinghi, farci avvertire il calore dei pigiami di flanella che i bambini indossano, finanche il rumore delle ciabatte serve a rendere il tutto quanto più simile ai “rumori” delle nostre case, compreso il disordine e l’immondizia.
I due bambini co-protagonisti sono eccezionali, in special modo Alessandro Morace, l’anima del film, un giovanissimo e vero promettente attore, in grado già da ora di adoperare tutti i livelli della recitazione, passando dall’essere introverso e malinconico, alla timidezza e delicatezza. Tutto viene visto attraverso i suoi occhi, raccontato dai suoi silenzi. L’occhio della camera di Rossi Stuart lo scruta continuamente, lo spia fin nelle viscere, e lui si fa trovare ogni volta puntuale, lasciando nella pancia dello spettatore un vuoto allo stomaco, da starci male. Perché Tommy interroga noi padri e madri dall’altra parte dello schermo, disposti sempre come Renato a preparare ai nostri figli quelli che sono i nostri sogni mancati: la scuola di nuoto imposta, a discapito delle classiche aspirazioni calcistiche, che magari avrebbero fatto di Tommy un grande calciatore.
Buona parte del film di Stuart è indubbiamente giocata sulla porta di casa, elemento che non può farci dimenticare l’altra grande prova d’attore di Kim Rossi, ne Le chiavi di casa. Chissà se senza il film di Amelio ci sarebbe comunque stato Anche libero va bene. Perché la splendida scena in cui il piccolo protagonista, dopo essere stato sbattuto fuori casa dal padre in seguito ad una sfuriata, torna lì nella notte, non trova più le chiavi nascoste fuori, sistemate sotto il solito vaso, ricorda molto quella del film di Amelio in cui Paolo riesce a compiere senza la presenza di alcun altro, un viaggio in metropolitana, nonostante il suo handicap fisico.
Alla costruzione di atmosfere dall’efficacia così forte contribuisce l’impianto sonoro, firmato dalla Banda Osiris, che accompagna il film: mai invadente, ma sempre a servizio dell’immagine.
E se con Moretti eravamo entrati nella “stanza” dei figli, con Stuart entriamo in quella dei padri, dove senz’altro si soffre di più, anche a colpi di imprecazioni, le stesse che pronuncia Renato per gridare il dolore quando avverte di avere totalmente perso fiducia nella vita. Qui la fiducia é fede. La stessa che ormai manca alla nostra società, sempre più incapace di essere padre e madre di noi figli, sempre pronti ad ammettere che “anche liberi va bene”. Semplicemente per sopperire a quel solito vuoto, da sempre incolmabile.
Giancarlo Visitilli
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