Regia di Antonio Capuano vedi scheda film
Non è passato molto tempo da che è stato pubblicato il nuovo, bellissimo e fastidiosissimo libro di Paolo Crepet, “I figli non crescono più”, che ha messo “in crisi” non pochi genitori ed educatori. Adesso, invece, a raggiungere lo stesso scopo ci è riuscito un grande regista italiano, Antonio Capuano, con il bellissimo La guerra di Mario, prodotto dal barese Domenico Procacci (Fandango).
Già negli anni passati Antonio Capuano ha toccato coraggiosamente argomenti e tematiche consuete per un certo tipo di cinema nostrano: il disagio giovanile, la depressione meridionale, l’incontro-scontro tra il Nord-Sud, le problematiche socio-assistenziali, ecc., allo stesso modo di un altro grande regista, Ken Loach.
La storia raccontata da Capuano è quella del piccolo Mario (l’attore bambino, Marco Greco, è talmente bravo e naturale da far scappare le lacrime), trascinato al di fuori della periferia napoletana e dato in affidamento ad una coppia di quarantenni borghesi e colti, apparentemente soddisfatti da una routine poco problematica.
L’impatto di Mario con la quotidianità dei due genitori affidatari (straordinaria l’interpretazione di Valeria Golino) genererà una spirale di affanni, disagi e preoccupazioni che investiranno tutti e tre i protagonisti. Il tutto ruota su cosa sia “giusto fare”, in nome di una legge (im)morale, che in moltissimi casi legati a storie di bambini, preferisce l’affidamento che non ha nulla di fidato, specie se visto con gli occhi di colui che è affidato.
Capuano è reduce da Luna rossa, presentato in Concorso alla Mostra del cinema di Venezia, nel 2001. Dopo cinque anni, circa, torna con la sua abilità nel dettagliare caratteri e personalità, “senza le belle inquadrature, la bella fotografia (sebbene questa, affidata all’immenso Bigazzi, è molto bella): fondamentale è cosa ho inquadrato”, come afferma lo stesso regista.
La guerra di Mario è un film duro, sincero, non solo perché s’ispira a una storia vera. Si tratta non del solito film che analizza la storia di un bambino solo dal punto di vista del sociale, qui c’è un qualcosa in più: la natura interiore di un minore, quello che pensa, che dice (“Sono frasi tratte dalle testimonianze rese da bambini africani che hanno fatto la guerra, racconti atroci trovati su Internet e sui giornali, nei quali piccoli dell'età di Mario ammettono anche di aver ucciso delle persone” dice Capuano) e che vuole o non vuole da sé stesso. Non esistono buoni o cattivi per Capuano, ma tutti, il più delle volte, sono cattivi e soltanto qualche volta fanno i buoni.
L’unica debolezza del film sta nell’aver poco approfondito la paternità, nell’ambito dell’affidamento, rispetto a quella della madre, ben interpretata dalla Golino, che già si era cimentata con tale ruolo, nel film di Crialese Respiro.
Tuttavia questo gioiellino del regista Capuano merita tutta l’attenzione anche perché è costato appena un milione di euro: dimostrazione che il Cinema, quello con la “M” maiuscola, lo si può fare senza grandi bigliettoni, Ciò che conta è quello che gira non solo nella mente del regista, ma soprattutto in chi scrive il Cinema e le sue storie.
Sarà la prima volta che siamo a favore di una guerra, e lo saremo tutte le volte che ci sarà da appoggiare l’unica vera guerra giusta: quella di Mario e di tanti altri bambini, sempre sul loro campo di battaglia per combattere contro i piccoli e terribili adulti, con la sloro stessa consapevolezza che “la scuola è un brutto carcere e il carcere (inteso come l’esperienza del male) è una buona scuola” per vincere sul Bene.
Giancarlo Visitilli
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