Regia di Marc Forster vedi scheda film
Prologo: sul ponte di Brooklyn, a New York, un ragazzo sotto choc si aggira sulla scena di un incidente d’auto, che provoca dei morti. Si chiama Henry, mancano tre giorni ai suoi ventun anni e, come comunica a Sam, l’analista che ha sostituito la dottoressa che lo aveva in cura, allora si suiciderà. Per il senso di colpa e per emulare il suo pittore preferito. Sam a sua volta convive con la pittrice Lila, anche lei difficilmente sfuggita a un tentativo di suicidio. Lo psichiatra diventa detective, segue le tracce di quel ragazzo sfuggente e inquietante (un convincente Ryan Gosling), vive esperienze stranianti, coincidenze inspiegabili, un’inestricabile commistione tra realtà e incubo. In una New York acquatica, allucinatoria, destrutturata, il gioco a nascondino tra loro, dopo due ore di scenografie ad effetto, quadri liquidi, spirali, scale, si scioglie (si fa per dire) solo nell’epilogo. Difficile associare Stay a David Benioff, autore dello script di un capolavoro come La 25a ora di Spike Lee. Per questo giochetto d’equilibrio tra realtà e illusione, dal cast e dalla confezione elegantissimi, c’è da ringraziare la distribuzione italiana per aver aggiunto al titolo una formula esplicativa. Concordiamo con il critico del “NY Times”: quando, da spettatori, ci si sofferma solo su dettagli come i calzini corti di un personaggio (l’impeccabile Ewan Mc Gregor), c’è molto nel film che non va.
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