Regia di Franco Battiato vedi scheda film
Marta e Nicola, due autori televisivi, propongono alla Rai una serie d’interviste a ricercatori isolati in ambito esoterico, scientifico e musicale. Uno di loro sottopone Marta ad una regressione ipnotica che la porta indietro nel tempo, a scoprirsi il principe mecenate di Ludwig van Beethoven durante i suoi ultimi anni di vita, quando già soffriva di una fatale, inaccettabile sordità. Ma un colpo di stato sta già cercando di imporre un Uomo Nuovo. Arduo sintetizzare in poche parole la trama di Musikanten, concepito come un’opera in tre movimenti che prosegue spiritualmente temi e stilemi (qui interviene una tecnica mista di Hd Sony, 35mm e camera digitale) di Perduto amor, del quale ritornano il narratore (e nobile) Manlio Sgalambro, e Lucia Sardo. Spiazzante ma non imprevedibile, per chi è avvezzo agli interessi del musicista siciliano: dalla ricerca dell’Uno al di sopra del bene e del male alle filosofie orientali, alla polemica, in senso leopardiano, con il presente, che, come già sosteneva un personaggio del suo primo film a proposito dell’Italia degli anni ’60, è malato, malatissimo. Ci si può sintonizzare o meno sull’ironia paradossale e sulla passione socratica dell’autore, ma non si può non riconoscere la rarità e l’onestà del tratto sperimentale e il demone conoscitivo, quello che dovrebbe spingere ad essere migliori. Con il consueto approccio multidisciplinare, Battiato riempie il suo film delle ossessioni di musicista, come i “dervisci tourneurs” di un raro film muto. Il tentativo, quasi herzogiano, di individuare il lato oscuro e terribile del processo di creazione artistica (e del suo confronto con il mercato) lascia in secondo piano il didascalismo dei dialoghi, il voluto antinaturalismo della recitazione e le sporadiche incongruenze di accenti.
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