Regia di Gavin Hood vedi scheda film
Dopo aver massacrato di botte il suo unico amico e aver sparato a una donna, il teppista da strada Tsotsi, che nello slang dei ghetti sudafricani significa “bandito”, ruba un’automobile e scappa. Non si accorge di avere come compagno di viaggio un bambino. Questa inaspettata condivisione di immancabili destini placherà la ferocia del ragazzo? Che Il suo nome è Tsotsi possa avere vinto l’Oscar come miglior film straniero non è incredibile. Si tratta infatti di una favoletta edificante farcita di luoghi comuni, didascalica nel rappresentare uno spaccato sociale dove la società ha le proprie colpe e i giovani criminali comunque un’anima bella e buona. Agli americani, poco abituati a vedere un cinema che non sia il loro, tutto ciò è molto piaciuto. Tra noi possiamo invece dire che trattasi di modestissimo film, retorico al massimo, del quale tra l’altro perdiamo forse le cose migliori, come il linguaggio, inevitabilmente doppiato. Raccontare le brutture del mondo attraverso una confezione che sia il più possibile “cool”, commercializzabile e omologata, come era per il modello del regista Gavin Hood, vale a dire City of God di Fernando Meirelles, non ci sembra un merito. Bella invece la colonna sonora con musica kwaito del compositore Zola.
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