Regia di Fritz Lang vedi scheda film
Continuo a ritenere sopravvalutato il Lang del periodo americano. The Big Heat (bellissimo titolo, come quello di un album di Stan Ridgeway) è considerato dalla critica il capo d'opera fra i polizieschi/noir dell'emigrante tedesco. Per me invece è ancora meno entusiasmante di Furia, La Donna Del Ritratto, Dietro La Porta Chiusa, Quando La Città Dorme. Se quei film potevano infatti essere tacciati di lentezza, opacità, macchinosità nello sviluppo drammaturgico, per lo meno rivelavano un regista fine, intelligente, capace di suggerire senza alcuna enfasi quanto sia sottile il confine fra colpa e innocenza, onestà e corruzione, realtà ed apparenza; tutto questo, servendosi (anche visivamente) dell'esperienza espressionista. Nel Grande Caldo, invece, resta solo un risaputo copione le cui trame si diramano faticosamente, l'impegno degli attori (straordinari Marvin e Ford), i chiaroscuri della fotografia; la regia invece fallisce nel difficile tentativo di confondere le acque, di ricondurre il bianco e il nero ad un indistinto grigio, di insabbiare i confini morali: qui, il Bene e il Male sono due entità ben distinte, dall'inizio alla fine del film.
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