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Il mistero degli specchi

Regia di Terence Young vedi scheda film

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La recensione su Il mistero degli specchi

di Antisistema
8 stelle

Vedendo questo film, si capisce che Terrence Young ha deciso di buttare la sua carriera di regista giù per lo scarico del cesso; altrimenti non si potrebbe spiegare come il regista di Licenza di Uccidere (1962), Dalla Russia con Amore (1963), Thunderball (1965) e Gli Occhi della Notte (1967) durante gli anni 50' e poi dagli anni 70' in poi, abbia realizzato dei film sempre più scadenti (anche con grandi attori) ed ignobili. Non si pretendeva certo un autore, ma un mestierante o comunque un artigiano di medio-alto livello assolutamente si, a maggior ragione dopo aver visionato il suo film di debutto che al contempo risulta essere anche il miglior film della sua carriera.

Ci si trova innanzi ad un melodramma con tinte oniriche e atmosfere gotiche, che potrebbe essere paragonato parzialmente ad Angoscia (1944) di Cukor tanto per rendere un'idea; ma l'atmosfera risulta molto più rarefatta e sospesa nel tempo; specie negli interni della villa.

Paul Mangin (Eric Portman), un'esteta dal comportamento freddo e contemplativo, non si sente per niente in sintonia con l'epoca in cui vive (siamo negli anni 30' a Londra), amando circondarsi di oggetti e arredamenti dell'epoca rinascimentale-barocca, alienandosi in un passato che sente come unica fonte di certezza e dal quale proietta nel presente ogni cosa; in sostanza crede in una sorta di determinismo vitale, così da soggiogare a poco a poco ogni donna che conosce, in ultima Mifanwy Conway (Edana Romney), che l' uomo crede essere la reincarnazione di una donna ritratta in un quadro rinascimentale in suo possesso.

 

scena

Il mistero degli specchi (1948): scena

 

È una pellicola dove la regia gioca sullo straniamento provocato dai giochi di specchi e dall'eloquenza di questa sorta di Pigmalione; che vive solo e soltanto in funzione di un' idea estetica, plasmando in forme fisse il flusso della propria vita. L' atmosfera risulta essere rarefatta; grazie anche alla magnifica fotografia di André Thomas, la quale adopera delle luci soffuse, vaporose e morbide che valorizzano gli sconfinati corridoi dell'immobile e gli interni della villa che sembrano trasportare la nostra protagonista in una dimensione fuori dal tempo. La voluttuosa Mifanwy viene a poco a poco trasformata, a suon di vestiti eleganti e gioielli, in una sorta di bambola che l'esteta della villa può contemplare nella sua percezione distorta del sentimento d'amore. Nonostante nell'inquadratura tra Mifanwy e Paul non accade nulla a livello fisico, la forte carica erotica proveniente dalla donne è palpabile e percepibile chiaramente, accentuando così la tensione sessuale e la forte carica melodrammatica tra Paul, che vive solo nel passato tra le quattro mura della villa odiando il futuro e Mifanwy, che invece segue una filosofia di vita dedita al godimento del presente. Questo forte contrasto nella visione e percezione della realtà, porterà a drastiche conseguenze per entrambi.

La pellicola se uscisse al giorno d'oggi sarebbe etichettata da molti come un prodotto hipister per via della figura del protagonista maschile (vagamente dandy per qualcuno); ma resta un melodramma nel complesso molto riuscito ed originale nell'impostazione della messa in scena. La pellicola è reperibile in Italia dopo oltre 70 anni (credo che non sia mai uscita al cinema da noi) in una buona edizione che valorizza l'elegante bianco e nero, ed è senza doppiaggio con sottotitoli italiani; segnalo che nonostante sia riportato in copertina il nome di Christopher Lee per esigenze commerciali (debutto per lui), l'attore ha solo una piccolissima parte secondaria.

 

scena

Il mistero degli specchi (1948): scena

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