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La gran vita

Regia di Julien Duvivier vedi scheda film

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La recensione su La gran vita

di OGM
6 stelle

Trasferta tedesca per Giulietta Masina. Doris Putzke, la protagonista del romanzo Das kunstseidene Mädchen della scrittice Irmgard Keun, è una ragazza di provincia, che vive in un incantevole paesino in cui i sogni sono di casa, ma non hanno alcuna possibilità di realizzarsi. Lo sfondo romantico da favola non corrisponde alla felicità, che, insieme alla ricchezza e all’amore, resta una remota utopia. Doris fa la segretaria presso lo studio di un avvocato, ma in cuor suo aspira al successo come attrice di teatro. Per raggiungere i suoi scopi, che sono quasi sempre di natura strettamente materiale, è solita usare l’arma della seduzione, racchiusa in quel suo sguardo atomico, ammiccante ed allegro, al quale nessuno resiste. È una mangiatrice di uomini, che, però non è  né la classica bambola svampita, né la maliarda navigata; sa il fatto suo, ma la sua incrollabile speranza in un riscatto la rende eccessivamente disponibile, esponendola alle delusioni. È troppo impulsiva e troppo poco intuitiva per poter riuscire; si lascia guidare da un istinto che risulta sempre inaffidabile, poiché è in grado di fiutare le occasioni passeggere, ma non le opportunità durature. La gran vita è quell’insieme di sicurezza, benessere e stabilità che Doris arriva sempre e solo a sfiorare, senza mai trovare la tanto agognata sistemazione. Le basta un attimo per far scattare il colpo di fulmine, ma la scintilla  produce un fuoco che si spegne in breve tempo. Le sue avventure sono momenti emozionanti che non portano a niente, facendole soltanto assaporare qualcosa di straordinario a cui deve presto rinunciare. È una farfalla a cui le numerose sventure non hanno però tolto la leggerezza. Continua, imperterrita, a volare di fiore in fiore, anche solo per avere in regalo un orologio o, nei momenti peggiori, rimediare un po’ di cibo. Il suo trasferimento a Berlino amplifica la portata delle sue aspirazioni, e contemporaneamente aggrava la sua condizione di svantaggio: nel calderone della grande città la sua figura minuta si perde, ed, in mezzo a quel caos, capita che il suo fascino calamiti verso di lei un buon numero di sciagure. I suoi rapporti con il sesso opposto, che al paese potevano risultare frustranti, nell’ambiente metropolitano diventano ambigui e pericolosi, e troppo spesso segnati dal dolore. A farle, anche involontariamente, del male, sono uomini malvagi (vedi il cinico Ranoski) oppure a loro volta sofferenti: un pittore divenuto cieco, un agente pubblicitario abbandonato dalla moglie. Tutti la desiderano, ma nessuno in una maniera che le possa piacere. Questa girandola monotematica si risolve in una curiosa rassegna di ritratti umani, in cui si alternano accenti satirici e momenti toccanti; tuttavia i singoli episodi si susseguono senza sommarsi, ognuno si apre e si chiude come un discorso a sé stante, che ricomincia daccapo senza tener conto di ciò che lo precede. Il passato si cancella e si replicano i tentativi di poco prima, corredati dei medesimi errori. Il racconto procede senza evoluzione, intorno ad una Masina disinvolta, spiritosa ed adorabile, con cui Julien Duvivier ama giocare come con una graziosa marionetta, dimenticandosi, purtroppo, di far crescere il suo personaggio. Questo film fa pensare alla melodia di un organetto, che si srotola con un’armonia saltellante ma ripetitiva, gradevole ma chiusa in se stessa come un giro di giostra: una circolarità parzialmente ipnotica, ma anche tanto dispersiva.

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